MUSTAFA FANNANE, UCCISO DAI CPR

Affinché il suo nome viva nelle nostre lotte, ritorniamo sulla storia di Mustafa Fannane, ucciso dai CPR.

Da Napoli Monitor, testo a cura di Luna Casarotti – Yairaiha ets.*

Mustafa Fannane non è morto in carcere, ma dopo tre settimane dall’uscita da un Centro di permanenza per rimpatri, uno di quei luoghi dove i migranti vengono  trattenuti e reclusi senza aver commesso alcun reato, per scontare una detenzione amministrativa in quanto privi di permesso di soggiorno.

Un’amica di Mustafa ci ha raccontato la sua storia.

Lo ha conosciuto nell’estate del 2020 nel quartiere Torpignattara, a Roma. Era seduta su una panchina ad ascoltare musica e un ragazzo sconosciuto le si avvicinò con gentilezza chiedendole di poter sentire una canzone marocchina che gli piaceva tanto, intitolata Mamma non piangere. La canzone parla di un ragazzo che ha avuto sfortuna e non è riuscito a realizzare i propri sogni, a differenza dei suoi amici; in seguito alle proprie vicissitudini è rimasto solo, al freddo, senza nessuno che potesse aiutarlo o proteggerlo.

Mustafa aveva trentotto anni, era in Italia dal 2007, arrivato come tanti in cerca di un futuro migliore, con un visto per motivi lavorativi. Era originario di Fquih Ben Salah, comune marocchino a meno di duecento chilometri da Casablanca e Marrakech, dove ancora abita la sua famiglia, che provava ad aiutare. Per anni ha lavorato, soprattutto come ambulante, alzandosi prestissimo al mattino. Nel 2014 ha perso il lavoro, e dopo poco, come conseguenza, la casa. Ha cominciato un percorso di progressiva marginalizzazione, è rimasto solo e si è visto negare il rinnovo del permesso di soggiorno. Nel 2015 è stato raggiunto da un decreto di espulsione. Nel 2019 ha trascorso tutti i sei mesi previsti dalla legge Salvini all’interno del Cpr di Roma. Durante l’estate 2020, nonostante le condizioni di salute precarie, il disagio psicologico ed economico, è stato nuovamente condotto nel Cpr di Torino, per poi uscire dopo novanta giorni. Secondo la ricostruzione di DinamoPress, in quelle settimane Mustafa diviene vittima di una vera e propria campagna di espulsione dal quartiere romano in cui viveva, caldeggiata da partiti e difensori del decoro vari, come il Movimento 5 stelle, Fratelli d’Italia e il giornale Il Tempo.

Il 31 agosto viene nuovamente arrestato: il quotidiano on-line Roma Today racconta di un marocchino classe ’84 accusato di aver minacciato un passante con un coltello per avere il suo cellulare. Mustafa viene portato ancora una volta in Cpr, a Ponte Galeria. Viene ritenuto idoneo al trattenimento nonostante i numerosi segni di autolesionismo che ne evidenziano le condizioni problematiche e la tendenza a cercare pratiche estreme e suicidarie. Chi è fuori non ha sue notizie per un po’, la stessa amica con cui parliamo scoprirà dopo un mese, grazie a una telefonata di Mustafa, della sua detenzione.

A metà novembre il volto di Mustafa inizia a gonfiarsi e il suo spirito a divenire apatico. Le cartelle cliniche del Cpr evidenziano un peggioramento delle condizioni fisiche e dei parametri vitali (frequenza cardiaca e pressione arteriosa). Alla sua amica dice: «Non sono ingrassato, sono ancora uguale a prima. Eppure quando mi vedrai non mi riconoscerai!». Il 28 novembre viene rilasciato. Il 2 dicembre quattro testimoni dichiareranno che era molto gonfio, probabilmente imbottito di psicofarmaci, in particolare una delle caviglie era gonfissima. A distanza di tre settimane dall’uscita dal Cpr Mustafa viene rinvenuto privo di conoscenza per strada e troverà poco dopo la morte, in ospedale, per arresto cardiocircolatorio. La polizia lo manda in obitorio come “paziente ignoto” cosa che complica anche il riconoscimento della salma, effettuato successivamente dai parenti contattati dall’amica del giovane. Un procedimento viene aperto dal procuratore aggiuntivo e un’autopsia viene disposta.

Tuttavia, molti aspetti di questa vicenda non sono stati ancora chiariti, neppure nella documentazione consegnata ai legali. Persino le dimissioni dalla struttura non sono state registrate, né viene indicata con sufficiente chiarezza la gestione del piano terapeutico a base di Diazepam, uno psicofarmaco il cui uso è praticamente di routine, ormai, all’interno dei Cpr (lo testimonia bene l’inchiesta Rinchiusi e sedati. L’abuso di psicofarmaci nei Cpr italiani, di Luca Rondi e Lorenzo Figoni).

L’avvocatessa nominata dal fratello di Moustafà, e naturalmente tutta la sua famiglia, e le persone che gli volevano bene, chiedono ora che siano accertati i fatti e le responsabilità per il mancato intervento a soccorso di una persona che non era in alcun modo nelle condizioni di poter affrontare quell’assurda detenzione che chiamano Cpr.

Il 7 settembre, il governo Meloni ha allungato, nell’ambito del decreto legge cosiddetto “per il Sud”, fino a diciotto mesi il periodo in cui è possibile trattenere persone all’interno dei Cpr, e ha aumentato i posti disponibili per il loro trattenimento in questo tipo di strutture.

 


* Il Gruppo di supporto psicologico per i familiari dei detenuti che si sono tolti la vita o che sono deceduti per altre cause in carcere nasce nel mese di luglio, dopo un contatto tra alcuni attivisti e attiviste e i familiari di un ragazzo che si sarebbe suicidato inalando il gas del suo fornelletto, nel carcere di Modena.

È possibile seguire le riunioni del gruppo ogni venerdì, dalle 17:45 alle 20:00. Le riunioni avvengono tramite una piattaforma on-line, con il supporto del dottor Vito Totire, psichiatra, attivista e portavoce del circolo “Chico Mendez” di Bologna. Durante gli incontri ognuno può raccontare la propria storia, parlare del proprio dolore e confrontarsi con altre persone che hanno vissuto la tragica esperienza di familiari morti all’interno delle carceri. Il link per accedere alla riunione settimanale viene pubblicato qualche giorno prima dell’incontro sul gruppo Telegram “Morti in carcere” e su quello Whatsapp “Sportello di supporto psicologico per i familiari dei morti in carcere” .

È possibile ricevere informazioni, ma anche raccontare in forma scritta la storia propria e del proprio familiare, anche scrivendo all’indirizzo e-mail dell’associazione Yairahia Ets (yairaiha@gmail.com).

AGGIORNAMENTO SUL PROCESSO A NAPOLI: RINVIO DELLA PRIMA UDIENZA AL 9 OTTOBRE

Riceviamo e diffondiamo:

Mercoledì 13 settembre si è tenuta in corte d’assise a Napoli la prima udienza del processo contro Zac, arrestato il 28 marzo a Pozzuoli con l’accusa di 280 bis (atto terroristico con ordigni micidiali o esplosivi) e 270 quinquies (autoaddestramento) per l’azione incendiaria del 4 marzo 2021 contro la sede dell’ambasciata greca di Napoli.

I comunicati precedenti si trovano qui, qui e qui.

All’udienza era presente un nutrito gruppo di compagne e compagni solidali, che in aula ha dovuto sopportare un certo dressshaming, oltre a uno spropositato numero di agenti della digos e una camionetta della celere… e poi si lamentano degli straordinari! Lo Stato italiano infatti ha richiesto un risarcimento di 150.000 euro per i danni all’erario pubblico, tra cui 110.000 euro per le 8410 ore di lavoro straordinario effettuato dalla digos.
Inoltre, poco prima dell’inizio dell’udienza, è stata notificata a Zac da parte della questura di Napoli una richiesta di sorveglianza speciale per cui si terrà un’udienza il 25 ottobre (seguiranno aggiornamenti).
L’udienza di regolamentazione delle parti è stata rinviata al 9 ottobre per vizio di notifica a una delle parti offese, perché la GIP, invece di notificare all’ambasciata greca in Italia, ha notificato all’ambasciata italiana in Grecia…
Il 20 settembre a Roma si terrà invece l’udienza del ricorso in Cassazione all’esito del riesame del 6 aprile, che aveva confermato la misura cautelare in carcere per Zac.

Per scrivere a Zac:
Marco Marino
C.c. di Terni
Via delle Campore,32
05100 Terni (TR)

Per chi volesse inviare contributi a sostegno invitiamo a spedire soldi tramite bonifico bancario.

IBAN: IT07V3608105138299544199741
Codice BIC/SWIFT: PPAYITR1XXX
Intestario: Luca d’Esposito
Causale: ricarica

La moda passa, lo stile mai

ZAC LIBERO!

Le compagne e i compagni di “Nun ve ramm na lira”

STRAGE DI STATO AL CARCERE S.ANNA DI MODENA: IL SILENZIO È COMPLICITÀ!

Diffondiamo un testo distribuito di recente a Modena:

STRAGE DI STATO AL CARCERE S.ANNA DI MODENA: IL SILENZIO È COMPLICITÀ!

8 marzo 2020. Mentre l’emergenza Covid-19 e le prime misure liberticide ”di contenimento” adottate dallo Stato italiano iniziano ad entrare prepotentemente nella nostre vite, all’interno del carcere S. Anna di Modena e di molte altre galere italiane scoppiano rivolte spontanee.
Le motivazioni che hanno portato i detenuti a ribellarsi non sono legate solo alla sospensione dei colloqui in carcere, ma alle condizioni disumane di detenzione, che tuttora persistono e continuano ad amplificarsi, all’ordinario disinteresse mostrato dallo Stato per la vita dei carcerati totalmente isolati dal mondo esterno e, come tutti in quel momento, esposti al rischio di contagi. Lo Stato risponde alle rivolte con la brutalità che gli è propria. L’ordine viene ristabilito a suon di botte, torture, umiliazioni, ricatti e trasferimenti punitivi dei rivoltosi in altre carceri.
Al carcere S.Anna di Modena, a seguito della rivolta, si contano 9 detenuti deceduti.
Mentre il Sindaco di Modena si congratula con i picchiatori in divisa per l’ottimo lavoro svolto, i media si affrettano a motivare i decessi parlando di overdose da metadone e psicofarmaci caduti nelle mani dei rivoltosi dopo l’assalto all’infermeria del carcere. Ma i segni di percosse, gli ematomi ed i molteplici traumi riscontrati sui cadaveri di alcuni carcerati morti appena dopo la rivolta, durante o a seguito dei trasferimenti in altre galere, parlano chiaro: si tratta di omicidi di Stato, di una vera e propria strage. Che dire poi delle volontarie omissioni di soccorso avvenute nei confronti di alcuni detenuti in condizioni di salute estremamente precaria, durante quegli stessi trasferimenti punitivi?
Nonostante l’archiviazione delle indagini e la chiara volontà dello Stato di insabbiare quanto avvenuto quel giorno al S.Anna, siamo nuovamente in piazza a spezzare il silenzio che imperversa su quelle tragiche nove morti. Evidentemente alle autorità modenesi e alla questura, che oggi si riempono la bocca dell’importanza della Parola e della legittimità di ogni forma di espressione, quanto abbiamo da dire infastidisce. Infatti, alcuni di noi hanno ricevuto avvisi di garanzia per apertura di indagini legate alla diffusione di notizie false e tendenziose riguardanti la strage del S. Anna (durante un semplice volantinaggio in città). Non siamo stupiti, né intimoriti, ma ancora più arrabbiati, perché i morti in carcere costituiscono la ”normalità democratica”. Anche questa settimana al carcere di Modena, nel più totale silenzio, ha perso la vita un giovane di 34 anni per arresto cardiaco. I soccorsi non sono giunti prontamente, l’aggravamento delle condizioni di salute, segnalato dalle urla e dalle richieste di soccorso degli altri detenuti della sezione, è stato ignorato dalle guardie.
Davanti ad uno Stato democratico basato su stragi di proletari e migranti, ad un padronato assassino e sfruttatore colpevole di mille morti sul lavoro ogni anno, alla devastazione ecologica, alla repressione di ogni forma di dissenso radicale, alla criminalizzazione dei quartieri popolari e dei loro abitanti (oggi si promette più repressione anche per i bambini di 12 anni cresciuti nei quartieri-ghetto in cui, assieme alle galere, lo Stato tenta di confinare la miseria prodotta dal capitalismo); davanti a tutto questo e ad uno scenario di guerra in cui lo Stato italiano ed i padroni ci stanno catapultando nel nome dei propri interessi e profitti, siamo fermamente convinti che l’unica risposta possibile consista nella solidarietà tra chi sta pagando sulla propria pelle la crisi e la guerra dei ricchi sfruttatori (carovita, energie e affitti a costi folli, taglio della sanità e della scuola per aumentare le spese militari), nella lotta autorganizzata fuori dalle logiche istituzionali e partitiche, nell’attacco di chi ci rende la vita ogni giorno più precaria e invivibile.

STATO E PADRONI ASSASSINI!
LA SOLIDARIETÀ È LA NOSTRA ARMA.
AL FIANCO DI CHI LOTTA DENTRO E FUORI LE GALERE.

anarchiche e anarchici

ROMA: ASSEMBLEA APERTA E PRESIDIO PER L’UDIENZA AL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA RIGUARDANTE LA PERMANENZA DI ALFREDO COSPITO IN 41 BIS

Diffondiamo:

Il 19 ottobre si terrà presso il tribunale di sorveglianza di Roma un’udienza riguardante la permanenza di Alfredo Cospito in 41 bis. Al fine di organizzare un’iniziativa in solidarietà con il compagno, invitiamo ad un’assemblea aperta per domenica 8 ottobre. Dopo l’intensa mobilitazione in solidarietà con Alfredo, contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo, sviluppatasi tra maggio 2022 e l’aprile successivo, non dimentichiamo che il compagno rimane recluso in questo regime detentivo.

Assemblea: domenica 8 ottobre, largo Perestrello, Roma, alle ore 16.

Presidio solidale: giovedì 19 ottobre, via Triboniano, Roma, alle ore 9.

Chiudere il 41 bis! Contro la tortura di Stato! Solidarietà rivoluzionaria con Alfredo Cospito!

Assemblea di solidarietà con Alfredo Cospito e i prigionieri rivoluzionari

Roma, settembre 2023

MODENA: POMPOSA HC

Diffondiamo:

Domenica 8 ottobre 2023, dalle 15, concerti, cibo e bevande benefit. Porta la distro e il tavolo.

Laboratorio libertario Ligera, Strada Pomposa 8, Modena.

GENOVA: PRESIDIO SOLIDALE AL CARCERE DI MARASSI

Diffondiamo:

Affondiamo le galere, lo Stato che le controlla e il Capitale per cui esistono.

Domenica 3 settembre ore 18

Nelle carceri italiane i gesti di ribellione individuale e collettiva si moltiplicano quotidianamente. Da giorni i detenuti di Marassi sono in protesta contro l’aumento dei prezzi, una lotta che ci riguarda tutti. Viviamo tempi di guerra nei quali i torturatori e assassini del carcere di Modena tornano in servizio dopo l’archiviazione del processo per strage, mentre Alfredo Cospito e Anna Beniamino vengono condannati per una strage politica senza feriti. Mani libere per gli oppressori, le manette ai polsi degli oppressi. La solidarietà è un’arma che spaventa i padroni di questo mondo, per questo la repressione colpisce chi la pratica. Le associazioni sovversive per chi ha lottato contro il 41bis, per la pubblicazione di un giornale anarchico o anche per l’esposizione di uno striscione hanno un significato chiaro: per far marciare l’economia di guerra occorre togliere di mezzo chi vuole sabotarla.

SOLIDARIETÀ AGLI ARRESTATI PER IL GIORNALE ANARCHICO BEZMOTIVNY E AI DETENUTI IN LOTTA