COMUNICATO SULLA SENTENZA DI APPELLO PER IL PROCESSO CONTRO UN COMPAGNO E UNA COMPAGNA DELL’ASSEMBLEA PERMANENTE CONTRO IL CARCERE E LA REPRESSIONE DI FRIULI E TRIESTE

Comunicato sulla sentenza di appello per il processo ad un compagno e una compagna dell’Assemblea  permanente contro il carcere e la repressione di Friuli e Trieste

Le parole sono importanti

In questo inizio di 2025, vogliamo dare una notizia significativa rispetto ai tempi in cui viviamo.
Ci riferiamo al fatto che lo scorso 25 febbraio la corte d’appello di Trieste ha confermato due condanne per un compagno di Trieste e una compagna di Udine colpevoli di non aver usato mezzi termini nella solidarietà ai rivoluzionari prigionieri e nella lotta contro il carcere. Condannati per delle parole di troppo, insomma.

Il 23 novembre 2019, durante un partecipato corteo per la giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne, nel centro storico di Udine, il compagno prese il microfono e svolse un corposo intervento, per legare molti e diversi argomenti in un unico principio, la solidarietà di oppressi e sfruttate contro il potere e il dominio. In particolare, diede solidarietà a 7 compagni anarchici di Trento e Rovereto, che si trovavano ancora sotto limitazione della libertà e in attesa della sentenza di primo grado (che era prevista per il 5 dicembre 2019) con l’accusa di terrorismo per alcuni attacchi (incendi e danneggiamenti) contro le filiali di Unicredit, una sede trentina della Lega e apparati dell’esercito e di Eni. Affermò che, chiunque avesse fatto quelle azioni, aveva fatto bene, perché colpire responsabili di sfruttamento, guerra e razzismo è giusto e necessario. Noi non abbiamo dimenticato che, a quel punto, alcune componenti della manifestazione abbandonarono platealmente il corteo, prendendone in seguito le distanze, le stesse componenti che oggi ritroviamo opportunisticamente a lamentarsi per il ddl sicurezza. Il 29 dicembre 2019, in un’intervista resa a RadiAzione durante un presidio sotto il carcere di Udine, la compagna denunciò la condizione di abbandono sanitario dei detenuti, facendo il cognome della responsabile dell’area sanitaria del penitenziario, la dottoressa Bravo.
La procura di Udine costruì un pericolante impianto accusatorio contro l’Assemblea a partire proprio da questi due discorsi – dunque semplicemente da parole pronunciate senza mezzi termini – per finire poi a portarli a giudizio rispettivamente per apologia di attacchi a banche e sedi politiche e diffamazione nei confronti del medico. La causa materiale di questa inchiesta era che la nostra attività incrociava e sosteneva lo scoppio delle proteste e la situazione di incipiente rivolta del carcere provinciale friulano, che infatti esplose di lì a poco con l’emergenza sanitaria generale legata al covid-19 nel marzo 2020.
In primo grado, il 1° giugno 2023 (i tempi si sono dilatati anche a causa di una bizantina deviazione per la Corte costituzionale) il tribunale di Udine condannò il compagno a un anno e la compagna a una multa di 3600 euro.
Ora, in appello la sentenza è stata confermata, al netto di una conversione in pena pecuniaria di oltre 14 mila euro per il compagno e una lieve diminuzione della sanzione alla compagna.
Si tratta di una sentenza paradigmatica dei tempi, sopratutto alla luce del decreto sicurezza alle porte, che introduce il reato di “terrorismo della parola”. Il decreto “elmetto-manganello”, come è stato giustamente denominato in virtù della firma del ministro della difesa accanto a quelle dei ministri dell’interno e della giustizia, impone un contesto dove ogni critica al consenso guerrafondaio e ogni presa di posizione in solidarietà con i prigionieri rivoluzionari deve essere colpita. Il messaggio che si vuol far passare è rendere sempre più difficile prendersi la parola in termini sostanziali, strapparla a chi occupa in tutta la sua estensione lo spazio pubblico, dire le cose come stanno. Secondo sbirri e giudici, nessuno deve più osare neanche parlare della necessità di attaccare le banche che fanno credito ai colossi del complesso militare-industriale-energetico, oppure parlare di guerra in termini disfattisti, rivoluzionari e solidali con chi passa all’azione diretta.
Purtroppo per loro, anche per noi le parole sono importanti. Per loro sono penalmente rilevanti, per noi sono rilevanti nel definire la realtà di sfruttamento, oppressione e guerra imperialista che stiamo vivendo e nel sostenere chi osa combatterla. E con questo abbiamo detto tutto. Andremo avanti, nonostante tutto, a chiamare le cose come stanno e a schierarci dalla parte di chi, dalle parole, ha la forza di passare ai fatti.

CREMONA: MANIFESTO CONTRO LA SICUREZZA


Diffondiamo:

L’OMBRA DEL SABBA NELLA ZONA ROSSA

«Così gli uccelli nella loro venuta fanno a pezzi il mondo perché odiano così tanto quel mondo che non li accetta che loro, a loro volta, non accettano altro che la distruzione di quel mondo».
Lee Edelman

Ebbene sì, anche la “pacificatissima” Cremona si tinge di rosso e non si tratta più solo del rosso che già ne intossica i cieli ad ogni colata dell’acciaieria Arvedi, ma della nuova proposta liberticida introdotta con la scusante dello “stop al degrado”. Ma d’altronde queste operazioni da parte di uno Stato sempre di polizia, che hanno già incontrato un’ottima palestra di rodaggio nel periodo della pandemia, in una città vetrina e provinciale come questa non sorprendono, anzi il più delle volte passano inosservate, come se l’addomesticamento fosse la bandiera di una “psicosi collettiva”, che si alimenta nella distrazione di massa.
Eppure qui nella nebbia ci sono teste ancora capaci di sollevarsi, guardare al di là delle sbarre di una prigione a cielo aperto; sono le teste dei reietti, delle pazze, delle escluse, dei recidivi, delle senza casa e dei senza patria, con i loro corpi scomodi per l’ingranaggio sociale e i loro lancinanti stridii
degni di un cupo stormo di corvi e cornacchie, pronte a cagare sulle loro volanti e beccargli dita e pupille.
Sotto la minaccia del daspo urbano si cerca di blindare intere città, appellandosi alla necessità di difesa da un nemico interno purtroppo immaginario e creato su misura dalla propaganda, che di volta in volta prende l’aspetto degli stranieri d’ogni nazione, così come delle sex workers o dei vandali imbrattatori.
Una manovra che pone un altro tassello nel mosaico di merda che chiamano Stato e che ogni giorno amplia la categoria dei deviati e delle degenerate, una categoria che permette immediatamente di identificare i possibili intralciatori del suo progetto, di modo da spazzarli via o inglobarli nella sua logica. Che le indesiderabili si oppongano, ad un mondo a cui si obbedisce senza neanche lo sforzo di dire si, disertare ogni ordine è già pensare un mondo altro e a agire di conseguenza.

Il manifesto in pdf: qui

CREMONA: ANTIFASCISTX IN STRADA CONTRO FORZA NUOVA

Diffondiamo:

Giovedì 6 marzo lx antifascistx di Cremona sono scese in strada per impedire ai fascisti di Forza Nuova di tenere un comizio in piazza “contro la carenza di sicurezza in città”.

LA SICUREZZA INCATENA, SCATENATI!

Dalla cronaca di regime locale: https://www.cremonaoggi.it/2025/03/06/forza-nuova-in-piazza-per-sicurezza-protesta-degli-antifascisti/

BOLOGNA: PRESIDIO AL CARCERE DELLA DOZZA [15/3/2025]

Diffondiamo aggiornamento:

Vista la situazione meteo il presidio sotto al carcere della Dozza previsto per sabato 15 marzo alle 15 è anticipato alle 10:30 del mattino.
Ci vediamo perciò sotto le sezioni maschili (Stradello sterrato – via del Gomito) alle 10:30!

Contro l’istituzione di un nuovo regime speciale per “giovani adulti problematici” (provenienti da istituti minorili) all’interno del carcere della Dozza.
Contro i trasferimenti annunciati per il 15 marzo.
Contro il 41 bis, l’alta sicurezza e tutti i regimi speciali.
Contro il DDL sicurezza e il razzismo di stato.

NE’ RECLUSI, NE’ TRASFERITI, TUTTX LIBERX


Di seguito un volantino diffuso sotto al carcere minorile del Pratello il 25 febbraio. Se in un primo momento i trasferimenti sembrava fossero previsti per quel giorno, nei giorni successivi sono stati annunciati per il 15 marzo -> IL CARCERE FA SCHIFO

BOLOGNA: CONTRO L’ISTITUZIONE DI UN NUOVO REGIME CARCERARIO SPECIALE PER “GIOVANI ADULTI”

Diffondiamo:

Ieri martedi 25 febbraio un po’ di persone si sono trovate sotto al carcere del Pratello per un volantinaggio rumoroso contro l’istituzione di un nuovo regime speciale per “giovani adulti problematici” (provenienti da istituti minorili) all’interno del carcere della Dozza, e per portare la loro solidarietà ai reclusx. Di seguito il volantino distribuito:

IL CARCERE FA SCHIFO

Siamo qui per contestare l’istituzione di una sezione speciale destinata a “giovani adulti problematici” (giovani provenienti da istituti minorili) all’interno del carcere della Dozza (carcere “per adulti”). Sembra che proprio oggi martedì 25 febbraio stia avvenendo il trasferimento di 50/70 detenuti (il numero non è chiaro) provenienti da diversi istituti penali per minori di Italia, pare, dal centro nord. Questa misura ha già previsto la deportazione di 70 reclusi in “Alta sicurezza 3”, per fare spazio ai detenuti in arrivo. Le sezioni “alta sicurezza”, articolate su tre livelli, sono regimi speciali, i più isolati e degradanti di tutta la struttura penitenziaria, peggio dell’ AS c’è solo il carcere cosiddetto duro\41bis. Il trasferimento di questi detenuti potrebbe creare ulteriori trasferimenti interni tra sezioni AS, scombussolando la vita già difficile di ben piu di una cinquantina di giovani detenuti. I detenuti trasferiti dai penitenziari minorili sono di età compresa tra i 18 e i 25 anni, hanno commesso un reato quando erano ancora minorenni e per il ministero sono da considerarsi non educativamente recuperabili.

Ma chi è “non recuperabile”? Probabilmente chi non si allinea alle pratiche rieducative del carcere, che, come si è visto a Milano al Beccaria, consistono in punizioni, pestaggi e violenze. Questa manovra che viene spacciata come risolutiva dei problemi di spazio e di inagibilità del carcere minorile del Pratello mostra la vera faccia di questo sistema: non esiste alcuna differenza tra un carcere per minori ed uno per adulti, il carcere fa schifo.

I detenuti vengono gestiti, presi, spostati, assegnati ad altri carceri, considerati come numeri in più all’interno di una struttura sempre più sovraffollata e in decadenza. Il trasferimento spesso viene usato come arma di punizione da parte dell’amministrazione penitenziaria per isolare le persone dai legami che si sono costruite all’interno del carcere e dai loro affetti all’esterno. Una quotidianità carceraria che oltre ad essere priva di dignità umana è, post pandemia e post rivolte, sempre più soggetta a soprusi di ogni tipo: dalla potenziata discrezionalità di ogni singola Direzione carceraria e Sanitaria, all’abuso di potere delle guardie penitenziarie. Quando qualcuno prova a rompere questo monopolio restituendo un’infinitesimale parte della violenza statale viene duramente represso, come avvenuto dopo le rivolte del marzo 2020.

Anche al carcere minorile del Pratello vi sono stati episodi di rivolta ed evasione: a fine dicembre del 2022 una cella è stata data alle fiamme e qualche giorno dopo vi è stata una rivolta. Anche in questo caso vi sono stati trasferimenti punitivi dei detenuti maggiorenni coinvolti alla Casa circondariale per adulti. Si parla di cinque celle rese inagibili e di una porta blindata divelta. A luglio del 2024 i detenuti hanno dato fuoco a due celle e sfidato le guardie, mentre un detenuto è riuscito ad evadere attraverso un foro scavato nella cella. Un’altra evasione risale a settembre del 2023. Ma questi sono soltanto alcuni degli episodi di rifiuto e rivolta di cui abbiamo notizia dalla stampa di regime, chissà invece quante sono le rivolte che rimangono represse dietro quelle mura.

Chi riduce il problema del carcere ad un problema di “sovraffollamento” è lo stesso che le galere le ha riempite fino a farle scoppiare.

Con l’approvazione del Decreto Caivano, un provvedimento fortemente punitivo e repressivo volto a criminalizzare e colpire i giovani delle periferie e le fasce più marginalizzate della popolazione, la situazione si è ulteriormente aggravata: più pene, più carcere, più facilità per un minore di finire in arresto e/o di essere tradotto in questura, eliminazione di istituti alternativi al carcere (ora subordinati a lavori di pubblica utilità nonostante la minore età, riproducendo la premialità già presente nelle carceri comuni e nei regimi speciali). Un decreto approvato per far fronte a quella che il governo Meloni definisce come “emergenza baby gang”,un tipo di retorica, non lo dimentichiamo, propagandata non solo dai governi di destra ma anche da tutte quelle realtà politiche e partitiche che si proclamano di sinistra ma che hanno sempre portato avanti e vidimato politiche emergenzialiste e securitarie.

A Bologna questo attacco ha trovato infatti nuovo vigore con l’asse Lepore-Piantedosi, tra retate, espulsioni, arresti, interventi ad “alto impatto” nei quartieri e per le strade, fino alla recente ordinanza del prefetto che vieta l’accessibilità ad alcune zone della città a quelle persone valutate “moleste” da guardie e divise, naturalmente con “valutazioni” iper discrezionali e arbitrarie. Un dispositivo, quello delle “zone rosse”, che sta armando ancora di più il senso di impunità delle forze dell’ordine. Una caccia alle streghe che conferma la funzione primaria del carcere come strumento di repressione, governo delle diseguaglianze e del conflitto sociale, volto al mantenimento di un ordine fatto di sfruttate e sfruttatori.

In un clima di guerra interna e sistematica repressione del dissenso (in qualsiasi forma esso si esprima) il carcere diventa prospettiva concreta per chiunque si opponga a questo esistente. Non vogliamo un carcere bello. Non vorremmo nessun carcere.

CHE LA RIVOLTA SOCIALE (PAROLA VUOTA E RIDICOLA IN BOCCA AI CANI DA GUARDIA DEL PADRONATO) DIVENTI REALTÀ DENTRO E FUORI LE GALERE

BOLOGNA: SENZA CHIEDERE PERMESSO [6/3/25]

Diffondiamo:

Giovedi 6 marzo 2025 diciassettesima edizione!

🏴‍☠️ Dalle 17 allestimento del mercatino, musica, birrette e microfono aperto!

🔥 Dalle 20 chiacchierata con alcune compagne e compagni dell’assemblea antidetentiva di Torino su CPR, deportazioni e tentativi di inceppare la macchina del razzismo istituzionale.
In vista della riapertura del CPR di Torino, chiuso a seguito delle rivolte di Febbraio/Marzo 2023, e della mediatizzazione della violenza nei centri di detenzione amministrativa, provare ad allargare lo sguardo non solo alle condizioni nelle strutture detentive, ma alla loro funzione e ai meccanismi che le alimentano, può aprire nuove prospettive di attacco al razzismo di Stato e istituzionale.
In un contesto repressivo che tenta di essere sempre più schiacciante e di allargare le sue maglie, sentiamo la necessità di costruire forme di solidarietà e complicità con chi resiste e lotta contro la detenzione amministrativa e penale, con le compagne e i compagni che subiscono la repressione e tutte quelle che vogliono cogliere nuovi stimoli per organizzarsi.
Se la mobilitazione contro il 41bis e l’ergastolo ostativo è stata un’occasione per trovarsi e lottare insieme a livello nazionale e internazionale, oggi, che Procure e Digos di tutta Italia provano a presentare il conto a chi si è mosso in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo, rilanciare nuovi spunti di attacco contro le oppressioni dello Stato può essere uno dei modi per non lasciarsi schiacciare.

Alle compagne e i compagni dell’Operazione City, imputati nel processo per devastazione e saccheggio a Torino.
A chi resiste e lotta dentro le carceri e i CPR, nonostante gli scarsi strumenti a disposizione, ma con rabbia, coraggio e creatività.

I CPR si chiudono col fuoco.
Tutte libere. Tutti liberi.

⚓ A seguire cena a sostegno degli Spazi Autogestiti By Vascello Vegano: panini, fritti misti e pizze.

🖤 A scaldarci, come di consueto, caldo vin in brulè benfit prigionierx e inguaiatx.

🧨 Dalle 21 carichx appallaa!! R.W.A. Riderz with Attitude* working class rap da Torino!

MODENA: UN’ECONOMIA DI GUERRA?

Diffondiamo:

“Un’economia di guerra?”. Pranzo benefit e discussione insieme ai curatori della rivista libertaria “Collegamenti” (Modena, 23 febbraio 2025)

Un’economia di guerra?

Le guerre non sono incidenti di percorso che spezzano una quotidianità di finta pace sociale, ma fenomeni connaturati al modo di produzione capitalistico, una delle possibili forme di espressione dello scontro tra borghesie nazionali e rispettivi Stati perennemente in competizione e conflitto nella corsa alla valorizzazione delle merci e all’accumulazione di capitale.
Come si ridefiniscono le economie in periodo di guerra, come si riconfigura il rapporto tra capitale e Stato e tra questo e gli schiavi salariati?

Ne parleremo domenica 23 febbraio coi compagni della rivista libertaria “Collegamenti”, a partire dalle 15:30.

Apertura e pranzo benefit dalle ore 12:30. Ligèra, Viale della Pomposa 8, Modena

APPENNINO ROMAGNOLO: TREKKING SOLIDALE ANTIFASCISTA

Riceviamo e diffondiamo:

DOMENICA 16 MARZO TREKKING SOLIDALE INGUAIATX ANTIFA
ESCURSIONE NELL’APPENNINO ROMAGNOLO

– Partenza in mattinata
– Vino e pranzo al sacco li portiamo noi, tu portati l’acqua da bere, bicchiere o tazza, scarpe buone e k-way

*Sottoscrizione consigliata: dai 10 euro in su’
(tutto benefit inguaiatx antifa per le contestazioni all’apertura della sede di Cesena di Cagapund)

Per info sulla partenza e prenotazioni (se venite dovete prenotarvi):
3510934193 (messaggio whatsapp o telegram)
Oppure alla mail: spazio.solebaleno@bruttocarattere.org

NAPOLI: PER MOUSSA, OUSMANE E TUTTX LX ALTRX CONTRO I CPR E IL RAZZISMO DI STATO

“PER MOUSSA, OUSMANE E TUTTX LX ALTRX CONTRO I CPR E IL RAZZISMO DI STATO”

Ousmane Sylla e Moussa Balde erano due ragazzi provenienti dalla Guinea Conakry, morti di “suicidio” mentre erano nelle mani dello Stato. Le loro storie sono simili a quelle di tante altre persone razzializzate che attraversano l’Europa, dove non avere i documenti giusti diventa un motivo legittimo per disumanizzarle, torturarle e ucciderle impunemente: per strada, sul posto di lavoro e nelle prigioni appositamente costruite dagli Stati razzisti e coloniali.

Moussa Balde muore nel maggio del 2021 nel CPR (Centro di permanenza per il rimpatrio) di Torino dopo essere stato brutalmente picchiato da tre fascisti a Ventimiglia: anzichè essere assistito viene portato all’ospedaletto, reparto d’isolamento all’interno del CPR dove verrà trovato morto. 

Ousmane Sylla muore nel febbraio del 2024 nel CPR di Ponte Galeria a Roma, lì trasferito dal CPR di Trapani, a seguito delle rivolte scoppiate nello stesso anno. Anche Ousmane come Moussa viene trattenuto nel CPR nonostante le sue condizioni di malessere psico-fisico, rese note per via delle segnalazioni fatte da avvocato e psicologa. 

Moussa e Ousmane sono solo alcuni tra le tante persone che quotidianamente vengono sequestrate dallo Stato italiano e dimenticate dietro mura di cemento dove avviene ogni forma di violenze e torture. Dagli anni 90′ a oggi, ogni governo, a prescindere dal colore di partito, ha finanziato e legittimato l’esistenza di questi campi di detenzione amministrativa. 10 sono attualmente operativi in Italia: a Milano, Torino, Gradisca d’Isonzo, Roma, Palazzo San Gervasio, Macomer, Brindisi, Bari, Trapani, Caltanissetta.

I CPR sono parte integrante delle politiche migratorie europee e nazionali, che esternalizzano le frontiere attraverso accordi bilaterali (come gli accordi tra Italia e Libia) e la costruzione di strutture di selezione e di detenzione (come l’ultimo progetto di un hotspot/CPR a gestione italiana in Albania). Ma il governo italiano vuole andare ancora piu in là, perfezionando ancora di piu la macchina delle espulsioni grazie all’apertura di nuovi CPR (uno in ogni regione) e all’introduzione di uno specifico reato – nel DDL 1660 – per reprimere ancora di più chiunque si rivolti o protesti, anche in forma passiva, all’interno di queste strutture di morte.

Questo nuovo strumento repressivo é la risposta diretta alle rivolte che scuotono i CPR da quando esistono. É un dato di fatto : se dei CPR sono stati chiusi in questo paese, lo si deve solo ed esclusivamente alle rivolte dei detenuti al loro interno, anche a costo della propria vita. L’ultima chiusura è stata proprio quella del CPR di Torino, a marzo 2023, in seguito a settimane di lotte all’interno di quelle mura. É la stessa struttura in cui Moussa ha perso la vita, e di cui è stata recentemente annunciata la riapertura.  Intanto, qualche settimana fa la rivolta dei prigionieri è riuscita a far chiudere una parte del CPR di Gradisca, in Friuli Venezia Giulia, ma le proteste, i tentativi d’evasione, gli incendi sono all’ordine del giorno in tutti i CPR.

Noi scegliamo di stare dalla parte di chi si rivolta nei CPR, e al fianco di coloro che, con la loro forza, si battono non solo per la memoria degli affetti che lo Stato gli ha tolto, ma anche affinchè queste prigioni non esistano più. Per questo, in occasione dell’udienza preliminare per l’assassinio di Moussa Balde a Torino, ci incontreremo a Napoli con le famiglie di Moussa e Ousmane, per esprimere la nostra solidarietà e per continuare la lotta contro i CPR e le politiche razziste di questo paese.

Ci vediamo giovedi 20 febbraio alle 18.30, allo SKA
(calata trinità maggiore 15, napoli)

Dopo la discussione, cena benefit per le famiglie di Moussa e Ousmane.

I CPR SI CHIUDONO COL FUOCO

POUR OUSMANE ET MOUSSA, NI OUBLI NI PARDON