APPUNTI SULLA REPRESSIONE A COMO

Diffondiamo questo testo da Como. Qui in versione pdf.

Como – città vetrina che zittisce …o almeno ci prova 😉

Il territorio Comasco è da tempo un grande baluardo del decoro e dell’ordine pubblico, dove ogni tipo di movimento dal basso e critica allo status quo fa estrema difficoltà a prendere piede tra l’individualismo dilagante e la repressione statale/poliziesca che tenta di mantenere tutto sotto il suo controllo.
Siamo elementi stridenti. Già solo occupando lo spazio con lx nostrx corpx, vivendo la città in maniera non conforme al piattume comasco, criticando i dogmi di benessere e ricchezza individuale, rompiamo questa apparente calma e apatia di chi vorrebbe Como a misura di “cittadino perbene” o di turista.
Per questo chiunque osi mettere in discussione, anche solo esistendo e alzando la voce, il quieto vivere di questa città e questa provincia basato sull’indifferenza e sulla proprietà privata viene prontamente punitx e allontanatx, con misure repressive totalmente spropositate, perquisizioni e denunce messe in atto dalla Questura e dalla Digos, palesemente atte a “tenere a bada” e smorzare sul nascere qualsiasi tentativo di andare controcorrente.
Queste intimidazioni non ci fanno paura, anzi, testimoniano ancora di più quanto siamo immersi in un sistema malato che pur di conservarsi non esita a smorzare con violenze poliziesche e istituzionali chiunque osi metterlo in discussione.
Non l’avrete vinta.

¿Que pasa? Alcuni fatti

Nel 2024 un presidio sotto alla Prefettura di Como per chiedere il rilascio immediato dei detenuti politici palestinesi Anan, Al e Mansour era stato brutalmente censurato con delle prescrizioni assurde: divieto di cori in arabo e di utilizzare la lingua araba; divieto di musica e di esporre striscioni o simboli di denigrazione nei confronti di Israele o di autorità estere contenenti richiami al sionismo. La manifestazione non si era fatta intimorire e aveva espresso la sua solidarietà e la sua critica senza timore, rompendo le regole della censura imposte.

Il 9 febbraio 2025, dopo un saluto al carcere Bassone di Como per portare solidarietà e vicinanza alle persone detenute, 6 persone sono state fermate e portate in questura. 3 fogli di via e accuse di resistenza a pubblico ufficiale e manifestazione non autorizzata. Unx compagnx è statx chiamatx qualche giorno dopo: si aggiungono i reati di istigazione a delinquere, accensione ed esplosioni pericolose, radunata sediziosa, grida e manifestazione sediziosa.

A maggio 2025, con l’accusa di aver fatto delle scritte in sostegno al popolo palestinese e contro lo Stato d’Israele, unx compagnx, dopo mesi dai fatti, è statx perquisitx personalmente. Le modalità degli agenti sono state intimidatorie: hanno ribaltato l’intera abitazione per cercare delle bombolette spray. Hanno chiesto allx compagnx di svestirsi e fare squat nudx a casa sua di fronte a un’agente donna.

Il 26 luglio 2025 alcuni tifosi hanno sventolato la bandiera palestinese allo stadio per esprimere solidarietà alla causa politica palestinese. L’atto ha scatenato una dura risposta delle autorità, che hanno disposto il daspo nei confronti di cinque sostenitori. L’esibizione della bandiera è stata considerata un comportamento discriminatorio, ritenuto in violazione dell’articolo 604‑bis, e tutti e cinque gli individui sono stati sanzionati.

Il 2 ottobre 2025, le manifestazioni in sostegno al popolo palestinese e in risposta all’attacco della Flotilla hanno visto scendere in tante piazze d’Italia migliaia di persone. Seguendo la rabbia e la reazione di tante altre persone e movimenti in tutto il mondo, anche a Como siamo scesx in piazza per affermare il nostro sostegno indiscusso al popolo Palestinese, alla sua resistenza e resilienza.
Probabilmente, la manifestazione di Como ha intimorito l’ordine pubblico, anche solo nell’esserci stata ed essere stata partecipata. Circa una ventina di persone hanno ricevuto notifiche di reato: la maggioranza ha ricevuto manifestazione non autorizzata e resistenza aggravata a pubblico ufficiale, a qualcun si aggiunge il reato di travisamento, a qualcunx altrx il 604 bis, ossia propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale e religiosa. 6 persone hanno ricevuto un foglio di via da Como e 5 l’avviso orale di pericolosità sociale.

RIFLESSIONI SULLA REPRESSIONE E SUL 604-BIS

Ed è qui che il controllo si inserisce all’interno di un quadro un po’ più ampio. Sappiamo che non siamo solx: gli episodi di repressione e le denunce arrivate dopo le mobilitazioni testimoniano una tendenza crescente a utilizzare strumenti normativi e di polizia per reprimere le proteste, trasformando il dibattito politico sulla Palestina in una questione di ordine pubblico e di sicurezza nazionale.
Nella denuncia relativa alla manifestazione del 2 ottobre a Como è stato contestato anche il reato previsto dall’art. 604‑bis c.p., ossia propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale e religiosa. La questura di Como sembra aver inserito il sostegno alla Palestina nella categoria dell’odio razziale e antisemita, facendo ricorso al DDL 1627 – noto come “Gasparri”. Il disegno di legge, promosso come misura contro l’antisemitismo, adotta la definizione dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance), che equipara l’antisionismo all’antisemitismo. In pratica, la proposta mira a trasformare la legittima critica alla colonia Israele e all’ideologia sionista in reato penale, equiparando la contestazione politica alla negazione della Shoah e criminalizzando la solidarietà con i palestinesi.
In Italia, ministri israeliani e istituzioni possono apertamente negare il diritto all’esistenza del popolo palestinese, mentre chi denuncia l’occupazione militare o la pulizia etnica portata avanti da Israele viene censurato e perseguito penalmente.
Il tentativo di zittirci non ci intimorisce: sappiamo che i nostri corpi e le nostre voci sono politici e occupano uno spazio che può diventare fastidioso e dirompente rispetto al quieto perbenismo cittadino e al silenzio complice di tutte le istituzioni italiane.

FOGLI DI VIA E AVVISI ORALI

Per il 2 ottobre, sono stati inoltre emessi fogli di via e avvisi orali, anche a persone incensurate e senza cittadinanza italiana. Il provvedimento ha colpito residenti a pochi km dalla città, nei pressi della provincia, che dipendono da Como per servizi, trasporti, ospedali e vita sociale.
L’avviso orale, quasi una “pagella del cattivx cittadinx”, è un ammonimento del questore che ti esorta a fare lx bravx, a rimanere al proprio posto in silenzio. Si basa su atti giudiziari non conclusi (NON CONDANNE!!), cioè su mere indagini che non hanno condotto a processo, ma che vengono comunque usate per giustificare una pericolosità sociale “attuale e concreta”.

Siamo state definite come persone che “offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza e la tranquillità pubblica”: noi rispondiamo che è giusto e necessario turbarlo questo ordine. Che non ci stiamo alle decisioni di un governo complice di guerre e genocidio in Palestina, che investe in armi e produzione bellica.
Non vogliamo essere complici e quindi rompiamo il silenzio e il quieto vivere, con le nostre voci e i nostri corpi dissidenti.

INGUAIAT3 MA MAI SOL3

Lontane dalle luci dei centri, anche qui in provincia qualcosa si muove. Raccontare quello che succede qui ci permette di colmare la distanza che molte volte si percepisce tra centri e provincie, di rompere con l’idea che soltanto la città può essere teatro di contestazione e azione e che in questi luoghi ognunx pensi solo al “proprio orticello”.

Tutto questo interesse di voler mantenere una calma apparente con tutte le misure repressive di cui si è parlato serve alla macchina bellica, che sfrutta questi luoghi per poter operare indisturbata con profitti ultra-milionari: tra Lecco e Varese, varie aziende producono armi e proiettili che uccidono in Palestina. Anche Como è luogo di transito di queste merci, con piccole azione famigliari che producono componenti bellici. La guerra comincia da qui, e sta a noi incepparne gli ingranaggi.

Guardiamo alla resistenza palestinese, dove ogni forma di azione è fondamentale: da chi recupera cibo, a chi ricostruisce le tende dalle macerie, a chi combatte con i coloni per raccogliere le olive del prezioso olio. Fino alla resistenza armata, fino alla vittoria.

BOLOGNA: NON CI SIAMO TUTTX, MANCANO LX COMPAGNX INCARCERATX

Diffondiamo il testo di un volantino distribuito oggi 25 novembre a Bologna, nella giornata contro la violenza maschile e di genere.

La galera è uno schifo senza se e senza ma, come la società che ne ha bisogno, e di per sé non merita nessuna distinzione ulteriore, fra colpevoli e innocenti o fra categorie di persone. Ciò non toglie che esistono altre carceri dentro al carcere stesso:  in una civiltà ultra-capitalista ed etero-patriarcale, dove la giustizia è nelle mani di chi detiene i maggiori privilegi sociali ed economici, il carcere diventa lo specchio e l’ingranaggio che riflette, perpetua ed esaspera le oppressioni che viviamo e combattiamo “fuori”. Il metodo della segregazione è caro tanto allo Stato nelle sue galere, quanto al patriarcato dentro le mura domestiche. Le violenze subite a casa, in famiglia, sul lavoro, per le strade, sono connesse e si riproducono con la violenza dell’esperienza in prigione. Abusi, violenze, maltrattamenti, pregiudizi, misconoscimento costante… E’ ormai evidente come il carcere non solo non protegga nessunx di noi dalle oppressioni, ma come sia in realtà un meccanismo centrale nel riprodurle sulle classi subalterne, non solo su uomini migranti e poveri, ma anche e soprattutto sulle donne cisgender e trans, gli uomini trans, le persone di genere non binario, gender variant o intersessuali.

Siamo con tuttx lx reclusx che subiscono la doppia violenza del carcere. Con tutte le donne cisgender e trans detenutx, con gli uomini trans imprigionatx, con tutte le persone di genere non binario, gender variant e intersessuali reclusx.

Per alimentare il fuoco delle lotte e collegarle fra di loro. Contro ogni autorità e ogni forma di sfruttamento e oppressione.

CHE LA SOLIDARIETÀ FACCIA MACERIE DI OGNI GALERA

BOLOGNA: AGGIORNAMENTI SULLE ULTIME OPERAZIONI REPRESSIVE  AL SUD E CENA BENEFIT INGUAIATX NO PONTE E OPERAZIONE IPOGEO

Diffondiamo:

Mercoledì 26/11 ore 19:00 al Tribolo, via Donato Creti 69/2, Bologna.

– Il 9 settembre 2025 un’operazione della questura ha coinvolto diverse cittá con perquisizioni e arresti per colpire la lotta contro il ponte sullo stretto di Messina e tre compagnx, Andre, Bak e Gui, sono stati portati in carcere in via cautelare. Bak è statx arrestatx a Napoli e rinchiusx nel carcere di Poggioreale, Andre è statx trasferitx dal carcere di Bari a quello di Potenza come probabile ritorsione, mentre Gui è stato rinchiuso nel carcere di Varese. Tra le accuse, resistenza e lesioni gravissime. I fatti imputati si riferiscono al primo marzo 2025, giorno in cui un vivace corteo attraversò le strade di Messina per dire no al ponte sullo stretto. Dopo due settimane di detenzione preventiva in carcere ai tre compagnx sono stati riconosciuti i domiciliari con l’infame divieto di comunicazione con l’esterno e il braccialetto elettronico, in attesa del processo, previsto per il 17 dicembre.

– All’alba del 20 novembre con un’altra infame operazione, chiamata Ipogeo, la digos ha fatto irruzione nelle case di diversx compagnx a Catania, Palermo, Messina e Bari, compiendo perquisizioni a tappeto. Tredici compagnx sono stati denunciatx a piede libero, due compagnx, Luigi e Bak,  sono stati arrestati preventivamente e tradotti in carcere, rispettivamente a Brindisi e Catania. Unx compagnx è invece braccato da un  mandato di cattura europeo. Bak stava gia scontando una misura alternativa preventiva in relazione al corteo no ponte. Tutte le denunce si riferiscono al Corteo del 17 maggio a Catania contro il DDL sicurezza.

Su un’isola sempre più deserta che apre le sue porte solo a turisti e militari, con la base “americana” di Sigonella che non perde occasione di esportare democrazia a suon di droni, l’aeroporto di Trapani che si appresta ad accogliere a braccia aperte gli addestramenti dei piloti di caccia F-35, le due sedi di Leonardo S.p.a. a Palermo e Catania, il tutto condito e servito dal fantasma della grande opera strategica e militare del ponte, in un contesto di guerra aperta lo Stato colpisce con nuove operazioni repressive chiunque si oppone ai suoi piani di sfruttamento e dominio nella speranza di eliminare cosi ogni briciola di conflitto sociale al suo interno. Ci vediamo perciò mercoledi 26/11 al Tribolo per sostenere i/le compagnx colpitx, per condividere proposte e riflessioni e rilanciare le lotte.

Dalle 19:00 aggiornamenti sulle ultime operazioni repressive al Sud Italia, dalla lotta contro il Ponte, alla lotta contro il ddl sicurezza, l’economia di guerra e contro tutte le galere.

A seguire cena vegana benefit inguaiatx, birrette e tisanine.

Complici e solidali con lx arrestatx No ponte e operazione Ipogeo.

GUI, ANDRE, BAK E LUIGI LIBERX! TUTTX LIBERX, MORTE ALL’OPPRESSORE

Per scrivere ax compagnx reclusx:

Luigi Calogero Bertolani
C/o casa circondariale
Piazza Lanza 11
95123 Catania

Gabriele Maria Venturi
C/o Casa Circondariale
Via Appia 131
72100 Brindisi

FIORI, POMPELMI E GRANATE. Note sulla logistica di guerra a partire dal Mercato AgroAlimentare di Padova


Diffondiamo questa zine sul Mercato AgroAlimentare di Padova, uno studio della logistica del cibo legata a Israele e alcune necessarie riflessioni.

Troppo spesso sembra che la macchina bellica risieda in zone ben precise delle nostre città, spesso ben delimitate e controllate. Ma sappiamo bene che non è così. La macchina bellica è la nostra stessa città, i rapporti che essa ci costringe ad intrattenere, la repressione che disegna indisturbata il tracciato che le nostre vite devono seguire.
La guerra è un assetto che informa tutti i rapporti sociali, economici e relazionali, che ci colonizza ogni giorno: è nelle nostre vite che si gioca la guerra sociale, perché è nelle vite di tutti i giorni che viene intessuta la trama della guerra, delle alienazioni, delle dipendenze, delle piccole e grandi sconfitte.
Ci siamo direttx, con questa consapevolezza, al cuore di ciò che è sottratto alla vista, di quei luoghi (fisici, sociali o personali) che sono stati spersonalizzati, resi astratti, smaterializzati e dislocati in mille punti. Con la volontà di ridare consistenza alle cose a cui hanno tolto ogni concretezza abbiamo ritrovato quei potenziali punti d’attrito che erano stati strategicamente spezzettati a tal punto che le loro mille parti, prese per singole, non sembravano nemmeno tanto male. Seguendo queste intuizioni, calandole nella nostra geografia urbana, siamo arrivatx al cibo. Al Mercato AgroAlimentare di Padova.
E’ più facile che le persone si mobilitino contro Israele parlando di armi. Le armi rendono tutto più comprensibile, anche solo perché sollecitano empatia, ispirazioni umanitario, o qualche straccio di principio. Le armi sono brutte, uccidono i civili, mutilano i bambini, distruggono gli ospedali. Ma questo nesso non basta.
Appena perdiamo il contatto con i container pieni di componentistica o ci allontaniamo da una fabbrica della Leonardo, ecco che quelle persone che si erano mobilitate tornano alle loro vite, con quel velo di soddisfazione di aver fatto la loro parte in una sceneggiatura in cui facevano parte dellx buonx della storia.
Dobbiamo svincolarci dal solo distacco e dalla semplice disapprovazione emotiva degli orrori della guerra, per afferrare che quella guerra passa nella nostra quotidianità, nel cibo che mangiamo, nelle risorse che consumiamo, nei luoghi che attraversiamo. La guerra è qui, e se le persone afferrassero quanto sia ingombrante nei nostri giorni e nelle nostre città non sarebbero così tranquille e placide al ritorno da un corteo.
Un drone, una mina, è il frutto ultimo del complesso bellico, che si sostanzia del nutrimento delle radici di un sistema che è il nostro sistema, che è la nostra società. La costruzione di una granata non parte dalla fabbrica di granate, né dall’ufficio di un progettista o dal ministero che trova i fondi per le spese, ma inizia quando compriamo un fottuto pompelmo, quando accettiamo gli sbirri nei nostri quartieri, quando tolleriamo una molestia.
Il cibo sporco di sangue palestinese, coltivato su terreni espropriati dagli israeliani, è un veicolo immediato e spendibile per agganciare una consapevolizzazione diffusa più profonda e diretta sulla macchina bellica, che lega la guerra non a un post instagram, ma a un cibo che si ha in casa, che si mangia quotidianamente. La guerra è arrivata fin dentro i nostri frigoriferi, e nessunx se ne è accortx.

PDF:  FIORI, POMPELMI E GRANATE. Note sulla logistica di guerra a partire dal Mercato AgroAlimentare di Padova

MONTASICO: ECHI DAL SUDAN IN LOTTA

Diffondiamo:

Dal 2023 in Sudan è in corso una guerra civile tra l’esercito e le milizie RSF. Nelle0 ultime settimane la città di El-Fasher, nel Darfur, è stata conquistata dalle milizie RSF con massacri e pulizia etnica. Una guerra che ha fatto decine di migliaia di morti e milioni di sfollatx, e che ha soffocato nel sangue i movimenti che dal 2019 occupavano le piazze del paese contro il regime militare islamista, distribuendo pasti, medicinali e provando a immaginare un superamento del settarismo religioso, etnico e tribale. Ne parliamo il 30 novembre dalle 18, in collegamento con compagnx dal Sudan e dalla Francia. A seguire cena benefit per le compagnx in Sudan. Alla Bisaboga, Montasico, Marzabotto.


AGGIORNAMENTI SUL SUDAN: CHE LA RIVOLUZIONE SIA UN PUGNALE AVVELENATO NEL CUORE DEI TIRANNI

NUOVA PUBBLICAZIONE: NEXT STOP MODENA 2020 VIAGGIO TRA LE CARCERI

Diffondiamo:

E’ giunto alle stampe il libro di Claudio Cipriani sulle rivolte nelle carceri del 2020, in particolare quella di Modena, e sulla strage di Stato che in reazione ne seguì, nella quale morirono 14 persone detenute.

Due righe sulla distribuzione

La diffusione del testo procederà su due diversi binari: una che verrà gestita dalle edizioni di Sensibili alle foglie attraverso i suoi canali di distribuzione libraria; mentre l’altra sarà una distribuzione autorganizzata che permetterà di effettuare ulteriori ristampe e insieme rispondere alle volontà di Claudio, cioè di destinare come benefit gli introiti del libro a supporto dei familiari dei morti di Stato di marzo 2020 nelle carceri (es. sostenere spese processuali per eventuale riapertura del procedimento per le morti in Italia o altre proposte che rispettino l’obiettivo prefissato esplicitato anche nel libro).

L’invito è quello di incentivare chiaramente la seconda modalità di distribuzione, anche tramite l’organizzazione di presentazioni che ciascun territorio può scegliere liberamente come declinare, considerando la possibilità di informare e coinvolgere Claudio tramite lettera. Ricordo che è tuttora detenuto al carcere di Secondigliano.
La prefazione del libro è di Stecco, anch’egli tuttora recluso al carcere di Sanremo.

Quindi, il prezzo di acquisto delle copie, per raggiungere il doppio obiettivo della ristampa e del benefit, è quello di copertina del libro, cioè di 15 euro, anche per le distribuzioni, almeno per la prima fase. Le ristampe vanno di 200 copie in 200 copie. Ora siamo alla prima tornata.

Questa sarà la mail di riferimento a cui chiedere le copie  prossimafermata@anche.no e da cui vi saranno forniti i dati per effettuare il pagamento via postepay, ma anche avanzare ogni domanda, richiesta, dubbio, critica. Nonchè la mail utilizzata per dare ulteriori aggiornamenti riguardanti il libro.

Ricordiamo inoltre che il compagno Stecco è dall’8 novembre in sciopero della fame in adesione alla campagna Prisoners for Palestine, e che da qualche giorno gli è stata applicata la censura alla posta, motivata dall’aver denunciato le condizioni detentive del carcere in cui è detenuto. Che questo libro esca proprio nel giorno in cui gli è stata disposta, potrebbe rappresentare un segnale, a ricordarci che per questo Stato stragista, chi parla e alza la testa deve stare zitto.

Un buon motivo che a nostro avviso rievidenzia l’importanza di supportare la diffusione di ogni testo da dentro che racconti ciò che accade, che mostra la vera faccia dello Stato e della detenzione, non sottostando alle forme di censura più o meno implicita che vengono costantemente applicate.

I ringraziamenti da parte di Claudio vanno a chi ha voluto supportare la realizzazione di questo libro, sia a livello di sostegno e vicinanza, sia a livello pratico, in particolare a chi si è prodigatx per supportare i fondamentali costi economici della stampa. Le copie omaggio che ci ha fornito la casa editrice sono state spedite a prigionierx dentro le galere italiane.

Solidarietà a chi si ribella nelle patrie galere di tutto il mondo e a tuttx lx prigionierx per la Palestina in sciopero della fame!

Pdf scheda libro

BOLOGNA: AGGIORNAMENTO SULL’OPERAZIONE REPRESSIVA SCATTATA A SEGUITO DELLA CAMPAGNA IN SOLIDARIETÀ AD ALFREDO CONTRO IL 41BIS ED ERGASTOLO OSTATIVO

Diffondiamo:

L’8 ottobre 2025 si è tenuta l’udienza preliminare dell’operazione scattata a Bologna nel 2023 a carico di 19 persone per la mobilitazione in solidarietà ad Alfredo Cospito in sciopero della fame contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo.
Ricordiamo che inizialmente venivano contestati associazione con finalità di terrorismo (art. 270bis) – poi caduto in sede di riesame – e altri fatti specifici: un attacco a dei ripetitori di telecomunicazioni, un tentato danneggiamento a dei camion della ditta MARR, un blocco stradale tramite danneggiamento di cassonetti, l’interruzione di una messa, l’occupazione di una gru in centro a Bologna e contestuale presidio sottostante con manifestazione non autorizzata.
Contestualmente alle indagini ci furono altrettante perquisizioni e prelievi coatti di DNA, con successive misure cautelari a carico di tre persone indagate – obbligo di firma per due persone, obbligo di dimora con rientro notturno e obbligo di firma per una persona.

L’udienza preliminare si è conclusa con l’assoluzione di 11 compagnx e il rinvio a giudizio a marzo per 6 compagnx per 3 reati specifici:
1) il danneggiamento a dei ripetitori di telecomunicazioni (art. 635 quinquies, comma 2)
2) il danneggiamento a una rete durante l’occupazione della gru (art. 635, comma 3),
3) l’interruzione della messa (turbatio sacrorum, art. 405).

Ribadiamo la nostra solidarietà ad Alfredo ancora rinchiuso in 41bis e a tuttx lx prigionierx!

Ribadiamo la nostra solidarietà allx compagnx indagatx di Bologna e a tuttx le persone che stanno affrontando o hanno affrontato la repressione a seguito della mobilitazione in solidarietà con Alfredo!

Ribadiamo la nostra solidarietà ad Andre, Bak e Gui agli arresti domiciliari per il corteo NoPonte!

Ribadiamo la nostra solidarietà a tutte quelle persone picchiate, mutilate, arrestate e che stanno affrontando la repressione a seguito delle piazza per una Palestina libera!

Sempre al fianco di chi lotta, la solidarietà non si spezza!
Finché di ogni galera non rimangano che macerie!
Tuttx liberx!

MA CHI HA DETTO CHE NON C’ERAVAMO?

Riceviamo e diffondiamo:

Di santi, fragilità e anarchia: una risposta breve al testo “Da pari a pari. Contro l’autoritarismo identitario” e ad alcuni altri contributi innecessari

“Así Sí Señora! Fuimos Muy Malas y Fuimos Todas! “

Fenoménicas Brujas e Insurreccionalistas (F.B.I)
Ciudad de México, martes 10 de marzo 2020.

Continuare a leggere sproloqui reazionari che pretendono di cancellare le nostre esperienze anarchiche utilizzando semplificazioni degne di qualche youtuber incel con cappellino da cowboy è intollerabile.
Se alcuni soggetti credono sia ora di prendere posizione perché “troppo hanno aspettato”, allora siamo costrettx a pensare che anche noi “abbiamo tardato troppo”.
E diremo qualcosa di cui stiamo iniziando a non essere fiere.
Abbiamo tardato perché in fondo volevamo credere (e non volevamo rinunciare a riconoscerci) nei rapporti di affinità, nelle esperienze comuni, in quella radicalità che ci ha fatto incontrare molte volte, nella solidarietà internazionalista, nelle pratiche condivise, nell’elaborazione teorica che, chi più e chi meno, ci accomuna(va).
Ma, come è risaputo, l’affinità si basa sul principio di libera associazione, pertanto quando ciò che ci accomuna viene irrimediabilmente meno, un pezzo dopo l’altro, l’affinità con “certi soggetti” cessa di esistere.

Il testo che segue è un contributo corale di compagne (senza C maiuscola, grazie, non abbiamo bisogno della vostra sacra approvazione) che vivono fuori e dentro il territorio italiano.
Non è una posizione universale di un settore specifico, che di fatto non esiste come unicità.
Speriamo non si gridi all’infiltrazione esterna. È penoso, come anarchici.
Non solo perché nega di fatto la tanto sbandierata capacità di essere internazionali e internazionalisti, ma perché ci ricorda tanto la modalità dello Stato o, ancora di più, la classica strategia stalinista: ricorrere al fantasma del nemico esterno per giustificare la creazione di più dispositivi di controllo e repressione.
E quindi sì, scriviamo da molti territori, ma vogliamo ricordare a questi soggetti che ci conosciamo, e non è un modo di dire. Abbiamo partecipato insieme in molte piazze, ci siamo scritti e scambiati traduzioni, abbiamo messo in atto azioni di solidarietà che si richiamavano da un territorio all’altro, abbiamo partecipato a dibattiti nella stessa stanza, a chiacchiere e presentazioni. Peccato.

E quindi eccoci qua con alcune puntualizzazioni.

Dominio e liberazione, niente di nuovo sotto il cielo

Quello che ci interessa meno è impantanarci nel segnalare di nuovo le responsabilità di singoli amichetti nel perpetuare la violenza patriarcale nei suoi molti modi possibili con tante sfumature e gradi.
Che noia, questi esercizi petulanti di filosofia e storia antica.
Alcuni di questi amichetti probabilmente sono stati anche i nostri in alcune occasioni (e per fortuna alcuni proprio no), o i nostri compagni, in senso affettivo e politico. Nessuno qui può dirsi salvo perché il problema è strutturale, come tutte le dominazioni contro cui tanto lottiamo. Quindi anche concentrarsi esclusivamente nel difendere un singolo (tra l’altro quasi rasentando il culto della personalità, che fa molto religione e molto poco anarchia) è fuorviante, perché distoglie dalla questione centrale.

Il sistema di dominazione è complesso e a più livelli e chi lotta per la libertà dovrebbe farlo in maniera altrettanto complessa e multipla, non solo concentrandosi su singoli aspetti o su specifiche forme. È ora che questa pulsione radicale per la liberazione totale sia meno di facciata, e investa con la sua capacità distruttiva non solo lo Stato e il Capitale, ma ogni forma di dominio. Patriarcale e coloniale inclusi.
Per fare questo sarebbe necessario abbracciare le proprie contraddizioni, essere critici con noi stessi così come lo siamo con gli altri, abbandonare questo purismo moralista che puzza di vecchio e costruisce chiese ideologiche invece di bruciarle.
E sopratutto non considerarsi immuni dall’essere noi stessi parte del problema.
Patriarcale e coloniale, dicevamo…
Poveri 5 piccoli indiani.
Il virtuosismo della comparazione con la situazione in atto in Palestina e la narrazione genocida dello stato sionista di israele farebbe quasi ridere se non fosse altamente problematico.
È sufficiente un’analisi grossolana per capire che equiparare una narrazione di violenza volutamente islamofoba e vittimizzante di una forza occupante su chi la resiste coraggiosamente fino alla morte con le denunce di compagnx verso dei coglioni aggressori proprio non regge.

Ci sembra che qualcuno abbia iniziato un processo di beatificazione.
E noi santi e beati non ne abbiamo.
Preferiamo ricordare chi lotta anche con i suoi errori, perché è questo che ci permette essere chi siamo.
Quello che ci dispiace notare, però, è che in questo affannarsi per difendere e santificare, si regalino al potere tanti spunti e dettagli di incontri, dibattiti, campagne di solidarietà, cose che nel nostro modus operandi non dovrebbero essere pubbliche né pubblicate. Ups.
E, ancora più grave, assistiamo attonite a un’autoinvestitura dell’autorità morale nel definire chi è dentro e chi è fuori dalla chiesa, riproducendo proprio quegli atteggiamenti che si criticano.
Per quanto ci si dilunghi in inutili astrazioni, a tratti così stirate che rasentano il ridicolo, l’elefante nella stanza continua ad essere la misoginia dei compagnx e il loro potere di definire chi è compagnx chi non lo è e quali lotte sono giuste e meritevoli.
Da una parte viene criticato il potere di definizione di chi subisce o ha subito violenza, ma dall’altra questo potere di definizione viene costantemente esercitato (difeso e tenuto stretto) nella scelta di chi è dentro e chi è fuori, di cos’è la pratica anarchica e cosa non lo è.

Quale internazionale?

Cosa si intende per “americanizzazione?”
(America é un continente un bel po’ grande, deduciamo che i professori si riferiscono agli Stati Uniti);)
Rimane un concetto vago che sembra uscito da un fumetto del vecchio PCI.
Un verdetto che raccoglie un po’ tutto e avvia il processo della nostra scomunica.
Saremo giudicate dall’inquisizione e condannate all’esilio da tutti i percorsi che da anni portiamo avanti, non come queer ma come anarchiche (perché, sorpresa! ci sono tantx di noi che non sono e non amano come il Papa comanda… se ne erano accorti lor signori?)
Verranno castigati i nostri comportamenti “infantili” o “depravati”?
Abbiamo la sensazione, vostro malgrado, che la direzione sarà piuttosto un’altra…
Rispondiamo (senza gioia) a questi sproloqui perché ci stanno a cuore le lotte e perché certi cappellini da cowboy trumpiani ci allarmano, non per chi li porta, ma per quello che stanno facendo delle nostre idee e della loro possibilità di propagarsi.
Ce lo saremmo volentieri risparmiate.
La “teoria del complotto esterno” è ciò che ci ha colpito di più.
Dove è finita l’essenza profondamente internazionalista del nostro essere anarchico, tanto nelle pratiche quanto nelle teorie e nei dibattiti?
Liquidare certi temi come “ingerenze esterne”, accusare chi riflette sull’oppressione di genere di “americanizzare le lotte” addirittura usando termini come “woke” (grazie bro Trump per aver illuminato i nostri Compagni) è una deriva nazionalista reazionaria a dir poco disgustosa. Da quando le nostre idee devono avere una certificazione nazionale?
Ma detto questo, ci chiediamo perché volontariamente si sorvoli sulle molte riflessioni “nostrane”, che non hanno avuto bisogno di input esterni per affilare teoria e pratica, per rispondere radicalmente all’esistente, per spezzare catene. Riflessioni emerse dai confronti tra moltx compagnx, all’interno e all’esterno delle nostre frontiere territoriali, nei dibattiti accesi, nelle esperienze personali, dal carcere fatto di sbarre a quello fatto di leggi, norme e regole sociali a cui abbiamo deciso da decenni di ribellarci.
Come è possibile che non si riconoscano dopo tutti questi anni, le esperienze radicali, in seno ai nostri spazi, teorici e pratici, che molte di noi hanno elaborato?
Forse semplicemente facilita il gioco etichettarle come “esterne”, perché risparmia il lavoro che ci aspetteremmo da ogni compagno, compagna, compagnx: quello del leggere, conoscere, discutere e praticare, tra noi, per noi, contro chi opprime e reprime.

Né liberali né reazionarie, un po’ di noiosa pedagogia

Ci saremmo volentieri risparmiate questo scomodo lavoro di pedagogia, ma a quanto pare è necessario.
Facciamo chiarezza: molte di noi mai si sono rivendicate all’interno degli orizzonti LGBT, e quando si usa per definirci ci sembra di parlare con i genitori che dicevano “spinello” negli anni 90. E no, non ne facciamo una questione di linguaggio.

Riflessioni sull’identitarismo, sulle sue derive liberali, su certi processi interni che finiscono per diventare giustizialisti, sul rischio del riformismo nelle lotte… ne facciamo da un bel po’, non stavamo aspettando lo spiegotto, e lo facciamo non perché abbiamo paura della scomunica ma perché siamo anarchiche e non c’è bisogno di aggiungere che pensieri sinistroidi e riformisti non ci appartengono affatto.
Ma non è forse un rischio di tutte le lotte specifiche?
Lotte tra l’altro in cui, non c’è bisogno di dirlo ma lo diremo, siamo più che attive; purtroppo troppo spesso al vostro fianco, per fortuna sempre meno.
Carcere, frontiere, inclusa la recente ondata di solidarietà con la Palestina, la lotta per la difesa della terra, l’azione contro la guerra e la tecnologia militare…, non hanno forse tutte questo rischio?
È nostro compito, con le nostre pratiche e idee, rompere le righe in questo senso.
Perché dovrebbe essere diverso in questa lotta specifica? O alcuni ritengono di essere gli unici a saperlo fare? Ad avere l’agilità per non scivolare nel fiume in piena del riformismo sociale?
Cosa spiega questa sfiducia verso le potenzialità della lotta specifica queer o transfemminista? Iniziamo a pensare che se non può valere la stessa regola…c’è qualcosa che puzza.

La generalizzazione ci disturba.
Uno perché è tendenziosa. Silenziare con argomenti facili riflessioni necessarie, depotenziandone in partenza il valore, addirittura scomodando le vacche sacre dell’anarchia, ci ricorda nuovamente la propaganda MAGA, anti-woke (che chi cazzo se ne frega del liberal woke poi…ma chi frequentano ‘sti Compagni?), fatta appunto di semplificazioni aberranti tese a uno scopo specifico: disumanizzare e delegittimare i nemici dei valori tradizionali e patrii per annientarli.
Due perché viene da chiederci: cosa temono veramente questi fragili signori (e signore anche)? Ci aspettavamo più sincerità dopo anni di lotte assieme. È solo provocazione? È solo difesa del neosanto Compagno?
Molti studies (scusate non potevamo resistere)sull’incremento delle spinte reazionarie e autoritarie hanno evidenziato il nesso tra l’aumento esponenziale di una mentalità sempre più conservatrice e la paura mal elaborata di certi settori della società di perdere tutto (sopratutto la loro posizione) ed essere dimenticati, con il conseguente asserragliamento nei vecchi confortevoli valori: dio, patria, famiglia.
Coloro che bruciarono al rogo, incarcerarono, urlarono all’untore, diffamarono e diffusero odio generalizzato all’interno delle proprie comunità appartenevano spesso a questi settori: terrorizzati nel 1400 dalla inusuale libertà della comunità gitana o negli anni 2000 dal flusso in aumento di manodopera economica migrante o attualmente nel profondo degli Stati Uniti, da “negri e froci” destabilizzatori della santa patria.

Infine: la forma che il potere e lo Stato spesso usano per giustificare purghe, repressione o pacificazione sociale è attraverso universalizzare i propri valori e omogenizzare il nemico dell’ordine costituito affermando così la propria sacralità.
Di nuovo un po’ di pedagogia: chi di noi ha riflettuto sulle questioni dell’autodifesa, dell’eteropatriarcato, della cultura dello stupro, della transfobia e delle mille forme che ha il dominio per piegarci (sorry, non c’è riuscito lo Stato, dubitiamo nella capacità dei Compagni di addomesticarci) lo ha fatto in molte forme diverse, con rifermenti diversi, strumenti diversi.
Chi scrive questo testo lo fa abbracciando una prospettiva anarchica, come punto di partenza e arrivo. Ma tutto il resto non si può collocare in un unico contenitore.
Alcune rivendicano l’insurrezionalismo come la forma più etica per non scendere a patti con l’esistente, altre credono nella capacità dirompente delle nostre idee, altre si dedicano a scrivere e pensare.
La diversità delle nostre strategie e tattiche è ciò che fa dell’anarchia quello che è.
Ci giudichiamo, allontaniamo, ritroviamo come fa tutta la galassia anarchica, da sempre.
In questo siamo simili.
E proprio anche in questo siamo simili nell’essere diverse, nel portare avanti riflessioni specifiche e multiple sul tema, ahimè, al centro di questi recenti misfatti.
Chi si definisce queer e chi no, chi non ha mai letto Butler e chi ne apprezza l’analisi, chi lotta in spazi misti, chi solo in quelli separati, chi parte dal transfemminismo, chi ha deciso che non ne vale la pena e chi invece, come noi che scriviamo, ancora cerca quell’ultima possibilità di faticosa pedagogia.
Chi non si definisce femminista e chi lo fa da anni.
Non sempre siamo d’accordo. Anzi, spesso non lo siamo, in pratiche e forme.
Perché questa volontà di rinchiuderci in un’ unica entità omogenea se non per facilitare l’attacco inquisitorio?
Rendere massa informe e omogenea il possibile nemico pubblico è, di nuovo, vecchia strategia del potere.

Ma forse come succede con gli attacchi del nemico, che ci fa ritrovare assieme dallo stesso lato della barricata, anche tale vomitevole ultimo capitolo otterrà lo stesso: fare banda tra noi anche se non siamo d’accordo in tutto.
Un “noi” che si fa ogni volta più ampio e che non si riferisce solo a donne e queer ma che, come abbiamo detto all’inizio, si associa liberamente per affinità e sopratutto si ritrova a condividere almeno il ribrezzo provocatoci dalla scuola etero-bianca-cis-vetero anarchica del funesto demiurgo e compagnia.

Non è una minaccia. Le minacce non sono nel nostro ordine di idee. Le cose si fanno o non si fanno, senza avvisare.
Chissà, è piuttosto una proposta.
E non scomodatevi con un altro noioso spiegotto di cosa siamo e cosa non siamo.
Ci vediamo spesso e (mal)volentieri.
E lì, ci troverete, puntuali come sempre.
Il mondo brucia e abbiamo altro a cui dedicare energia. Vi invitiamo a fare lo stesso e smettere di piagnucolare.

Un po’ di compagnx senza C


Qui il pdf del testo: Ma chi ha detto che non c’eravamo