BOLOGNA: IN STRADA CONTRO LA SCHEDATURA GENETICA

LUNEDÌ 19 FEBBRAIO ORE 17 in PIAZZA DEL TEATRO TESTONI a Bologna.


CONTRO LA SCHEDATURA GENETICA SOLIDARIETÀ AI COMPAGNI E ALLE COMPAGNE COLPITE

In questi giorni a Bologna alcune/i compagnx sono stati raggiunti dalla disposizione di prelievo coatto del DNA, braccati sul proprio luogo di lavoro o nelle loro case, altrx compagnx rischiano di andare incontro alle medesima sorte nei prossimi giorni.

Questa operazione si inserisce nell’ambito di un’inchiesta per 270 bis (associazione con finalità di eversione dell’ordine democratico) che vede coinvolti 19 compagnx: inchiesta che prende le mosse dalla mobilitazione in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo Cospito, contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo.

Durante lo sciopero della fame di Alfredo, a Bologna come in tante altre città, la solidarietà è stata ampia e trasversale: non stupisce perciò questa disposizione generalizzata di prelievo coatto del DNA, che concretizza la possibilità di schedare geneticamente chiunque, anche solo per l’accusa di aver partecipato o portato solidarietà ad un presidio!

E’ interessante notare come nonostante si cerchi la corrispondenza con tracce biologiche appartenenti a un individuo di sesso maschile, rinvenute su di un accendino trovato in prossimità del luogo dove erano stati incendiati alcuni ripetitori, fatto per cui sono indagatx solo 5 persone; il prelievo del DNA sia stato disposto per tuttx lx 19 indagatx, poiché, come si legge nell’ordinanza siglata dalla GIP, si rende necessario verificare “se l’accendino rivenuto sul luogo dell’attentato incendiario sia riconducibile direttamente o indirettamente (per le donne) agli attuali indagati o agli altri soggetti appartenenti alla galassia anarco-insurrezionalista che ha rivendicato l’attentato”.

Ci troviamo di fronte a un cambio di paradigma della procedura repressiva: se prima si dovevano avere delle prove da associare a dei presunti sospettati, adesso si trovano dei sospettati predeterminati su cui cucire le prove.

Una vera e propria schedatura genetica su base ideologica, che colpisce non solo le individualità anarchiche e le loro azioni, ma anche chi ha inteso portare la propria solidarietà sostenendo, ciascuno secondo il proprio sentire e con le proprie modalità, lo sciopero della fame di Alfredo e la lotta contro il regime di tortura del 41 bis.

Ribadiamo la nostra solidarietà alle persone indagate, braccate dagli sbirri e costrette a farsi prelevare il DNA. Ribadiamo che aldilà dei fantasiosi castelli inquisitori e delle fantomatiche associazioni eversive, in quei giorni nelle strade e nelle piazze al fianco di Alfredo, a dire che il 41 bis è tortura e che il carcere uccide c’eravamo tutte e tutti…

Più forte dell’amore per la libertà c’è solo l’odio per chi ce la toglie

Compagne solidali

VOCI DALLA VORAGINE DEL 41BIS

Senza nessuna fiducia nello Stato, nella legalità e nella democrazia, men che meno in un qualunque Dio, riceviamo e pubblichiamo questa dolorosa testimonianza dalla voragine del 41bis.

Sappiamo che le donne subiscono spesso il carcere anche quando il carcere non lo vivono direttamente sulla propria pelle. Donne, madri, mogli, sorelle, cui spesso è scaricato il lavoro di cura della famiglia, dei figli, oltre che il compito di sostenere fratelli, compagnx, mariti e padri detenuti, con lo sfinimento che implicano le visite, il pregiudizio della società, della famiglia, dei vicini, le lunghe attese, i controlli e le ispezioni corporali, gli interminabili viaggi di andata e ritorno, le spese sistematiche ed elevate, la perdita della propria vita privata, le ripercussioni sul proprio lavoro, dei propri sogni e progetti.

I pronunciamenti marziali dei tanti politici e campioni della legalità che esortano una guerra santa alla mafia, difendono proprio la stessa democratica barbarie che la necessita e produce.

IL 41BIS È TORTURA!

Di seguito il testo:

“Sono la moglie di un detenuto ristretto dal 2008. Quando mio marito è stato arrestato, non immaginavo l’abisso che si celava dietro le mura del 41 bis, un universo di isolamento estremo e sofferenza umana. La mia fiducia nella giustizia è stata scossa quando ho visto mio marito tornare dalla detenzione con ematomi alla testa e lividi in faccia. Nel 41 bis, il peso della punizione sembra superare ogni limite umano.[…]”

“Sono la moglie di Pasquale Condello, un uomo detenuto dal 2008 nel regime del 41 bis. La mia storia inizia quando ero una giovane appena diplomata e incontrai per la prima volta Pasquale, nel 1982. All’epoca, lui aveva trent’anni, leggermente più grande di me. Nonostante provenissi da una famiglia tranquilla con genitori commercianti, la mia vita prese una svolta quando decisi di fidanzarmi con lui. Pasquale aveva solo due anni di pena definitivi da scontare, e speravamo che potesse mettere da parte il suo passato e lavorare con suo fratello nel settore dei sanitari e delle ceramiche. Purtroppo, le brutte sorprese non tardarono ad arrivare. Appena sposati, mentre aspettavo la nostra prima figlia, Pasquale venne arrestato per scontare gli anni di pena rimasti. Ma la tragedia colpì ancora più duramente quando scoppiò la guerra di mafia a Reggio Calabria, da quel momento, la mia vita è stata segnata dalla sofferenza”. (Nell’ottobre del 1985, scoppia un’autobomba a Villa S. Giovanni nei riguardi di Antonino Imerti; qualche giorno dopo venne ucciso Paolo De Stefano e il 13 gennaio 1986 uccisero il fratello di Pasquale, anche se lui era estraneo agli eventi). “La guerra portò solo morte e distruzione, e Pasquale era in carcere, lontano dagli eventi ma comunque coinvolto indirettamente. Nel 1991, finalmente, la guerra ebbe fine, ma i segni indelebili rimasero nella nostra città. Molte madri, mogli e fratelli erano stati uccisi, e nessuno potrà più riabbracciare i propri cari. Le guerre portano solo distruzione e morte, e non vi sono motivazioni valide per scatenarle, specialmente per interessi economici. Spesso piangevo al pensiero che mio figlio maschio potesse un giorno essere ucciso o finire coinvolto in organizzazioni criminali. Ho cresciuto i miei tre figli da sola, con l’aiuto della mia famiglia, ringraziando Dio per il loro sostegno. Oggi, dopo tanti anni, la situazione non è migliorata. Pasquale è ancora in isolamento in regime di 41 bis, mentre io e i nostri figli viviamo nell’incertezza e nella paura per il suo futuro. La speranza è che possa ricevere le cure di cui ha bisogno e che possiamo riunirci come famiglia, nonostante le avversità che ci separano. Nel 2008, dopo una lunga latitanza, mio marito è stato arrestato e portato nel carcere di Parma dove, ci raccontò, di aver subito torture. Nonostante la sofferenza di non poterlo abbracciare, riuscivamo a vederlo dietro un vetro una volta al mese.

Anche i nostri nipotini erano felici di vederlo, ma quando Pasquale iniziò ad avere problemi psichiatrici, decidemmo di non portarli più in visita, per rispetto nei suoi confronti. Nel 2012, Pasquale fu ricoverato per ematomi alla testa, e noi venimmo a saperlo casualmente, poiché non fummo informati dalla direzione del carcere”. ( Inizialmente detenuto nel carcere di Parma, precisamente nell’area riservata nota come “super 41 bis”, Pasquale manifestò allucinazioni e lamentò di ricevere scosse elettromagnetiche. In seguito una testimonianza ci svelò dettagli sulla sua cella, descritta come notevolmente diversa, con un aspetto più simile alla “cella liscia/nuda). “La sua salute mentale peggiorava, e ciò ci riempiva di preoccupazione. La situazione era diventata insostenibile, ma non potevamo abbandonarlo. La nostra famiglia continuava a sperare in un cambiamento, nella possibilità di riunirci e di vederlo guarire. Non abbiamo potuto vederlo, non ci è stato permesso, solo l’avvocato è potuto andare quando era ricoverato in ospedale. Dopo 9 anni di detenzione a Parma, è stato trasferito nel carcere di Novara. Eravamo speranzosi che fosse meglio per lui, che ci fossero meno torture, ma il primo colloquio è stato devastante. Abbiamo visto che delirava, diceva cose senza senso, vedeva e sentiva persone estranee alla sua situazione carceraria. Abbiamo capito che stava male, i test hanno confermato che era affetto da disturbi psichiatrici. La situazione è peggiorata durante il lockdown: non siamo potuti andare in visita, abbiamo potuto solo telefonare al carcere qui a Reggio Calabria”. (Durante la pandemia, i familiari si dirigevano al carcere di Reggio Calabria e dovevano presentare la documentazione necessaria, poiché non era possibile ricevere telefonate normali a causa del regime 41 bis). “Ad un certo punto, ha smesso di voler parlare, ha rifiutato colloqui con noi, con l’avvocato, persino con i medici che volevamo mandare per visite”. ( Da febbraio 2021 Condello, che si trova nel carcere di Novara, rifiuta ogni incontro con i figli, la moglie, i legali ed i medici ). “Non sappiamo nulla di lui, non lo vediamo, non riceviamo notizie. Immagino come possa essere in questo periodo, ma la sua condizione mi tormenta. Non so se si cura, se si fa la barba, se ha i capelli lunghi o come si veste. Non mi manda più indumenti da anni, non so in che condizioni possa essere, e questo è un grande dolore per me. Quando andavamo a vederlo in carcere e facevamo i colloqui con i miei figli, eravamo contenti perché almeno lo vedevamo e, quando stava bene, anche colloquiava con loro, dando consigli e parole che ci facevano stare bene. Ora non lo vediamo più, non abbiamo più notizie. Non riesco a descrivere questo dolore che mi pesa nel cuore. Cerco di vivere la mia vita normalmente, lavoro come insegnante e cerco di mettere da parte questo dolore, ma nel mio cuore c’è sempre questo chiodo che mi fa male, soprattutto pensando ai miei figli che soffrono tanto. La nostra speranza è di vederlo agli arresti domiciliari, anche se sappiamo che è difficile per il suo nome pesante. Vogliamo che venga curato, che sia messo in una struttura dove possa ricevere le cure di cui ha bisogno, perché vogliamo tornare a vivere come una famiglia normale, a poter fare colloqui e parlare con lui tranquillamente. Non possiamo abbandonare un malato nelle carceri, non è giusto, non è corretto in uno Stato democratico. Viviamo nell’angoscia di ricevere una brutta notizia da un momento all’altro e non possiamo permetterci di aspettare ancora tanto senza notizie. Vivere con questa incertezza è un incubo per me e per i miei figli. Cerco di mettere da parte questi pensieri durante la giornata, ma la sera, quando vado a letto, mi sembra di impazzire. Mio marito rifiuta tutto, non sappiamo come aiutarlo, ci sentiamo impotenti. Cerchiamo di prenderlo, ma sembra sfuggirci da tutte le parti. La sua vita è chiusa dentro quella cella, e non sappiamo più cosa fare. Anche se non sappiamo come, mio marito rifiuta completamente il mondo fuori e non legge neanche la corrispondenza che riceve. I miei nipotini, specialmente i gemellini, mi chiedono spesso del nonno Pasquale, chiedendo perché non lo vedono mai. Vorrebbero tanto conoscerlo e gli prometto che prima o poi lo vedranno, ma la situazione è difficile da spiegare ai bambini. Queste sofferenze si aggiungono a tutte le altre che già viviamo. Ultimamente, una delle mie figlie si è sposata e ha avuto un’altra nipotina. Mio marito non lo sa, e non abbiamo idea se abbia ricevuto le lettere che gli abbiamo mandato per informarlo.

Anche mio figlio si è sposato quest’anno, ma non sappiamo se abbia avuto modo di ricevere la notizia. Nonostante tutto, la vita deve andare avanti, e cerchiamo di trovare conforto nelle piccole cose. La mia fede in Dio è ciò che mi dà la forza di andare avanti, insieme al sostegno della mia famiglia e al lavoro. Non riesco a immaginare quanto mio marito stia soffrendo, e vorrei tanto poterlo sentire e vedere che sta bene. La sua salute e il suo benessere sono sempre nelle nostre menti, e non vediamo l’ora di poterlo riabbracciare. Per ora, ci aggrappiamo alla speranza di vederlo trasferito in una struttura adeguata, dove possa ricevere le cure di cui ha bisogno. Questo è il nostro desiderio più grande, anche se sappiamo che il percorso sarà lungo e difficile. Ma continueremo a lottare per lui e a sperare che un giorno possa tornare a casa, dove merita di essere. Il mio grande dilemma è che mio marito, pur avendo subito torture in passato, rifiuta assolutamente qualsiasi cura in carcere. Non ha fiducia nei medici, né nelle carceri, né nelle medicine che gli vengono somministrate. La nostra speranza come famiglia è che possa essere trasferito in una struttura adeguata, mantenendo eventualmente il regime 41 bis. Attualmente, il carcere non è un ambiente adatto per la sua malattia e ci aggrappiamo alla speranza che possa ricevere le cure di cui ha bisogno. Sono orgogliosa di come ho cresciuto i miei figli. Nonostante le difficoltà e il coinvolgimento passato del padre in situazioni criminali, sono tutti impegnati nel loro lavoro e hanno costruito una vita onesta. Anche se uno dei miei figli è stato arrestato in passato, ritengo che non abbia meritato quelle accuse. La legalità è un valore fondamentale per me, insegnare ai miei alunni il significato di questo concetto è parte integrante del mio lavoro. Quando vedo ragazzi disinteressati allo studio, cerco sempre di far loro capire l’importanza dell’istruzione. Lo studio non solo apre la mente e le opportunità di lavoro, ma può anche proteggerli da scelte sbagliate che potrebbero compromettere il loro futuro. Ho reso la promozione della legalità e dell’istruzione un impegno costante nella mia vita e nel mio lavoro di educatrice. Spero che chiunque abbia il potere di fare qualcosa per aiutare i malati nelle carceri rifletta sulla gravità della situazione e si adoperi per fare la propria parte nell’assistenza a coloro che ne hanno bisogno”.

(Nel 2022, l’associazione Yairaiha, impegnata nella difesa dei diritti dei detenuti, aveva evidenziato la grave condizione psichiatrica trascurata di Condello. L’appello rappresentava un vigoroso richiamo alla giustizia, non solo per la trasparenza, ma anche per assicurare il diritto alla salute, persino nel contesto del regime 41 bis. L’ex boss dell’ndrangheta Pasquale Condello, noto come ‘U Supremu, ha ricevuto una dura condanna di 4 ergastoli e 22 anni di reclusione. La sua discesa negli abissi inizia a Parma, tra allucinazioni e lamentele di scosse elettromagnetiche. Una spirale di malattie mentali lo avvolge, trasportandolo in un regno di sofferenza inimmaginabile. La sua famiglia è intrappolata in un limbo di angoscia per il suo destino, senza notizie da oltre tre anni. A causa delle sue patologie, Condello rifiuta le cure indispensabili, creando un’ombra sulla sua già difficile strada. La data del fine pena, è previsto il 31/12/9999 distante 7975 anni, 797 secoli da oggi, si presenta come una condanna senza prospettive, una pena di morte mascherata dallo Stato. Un verdetto privo di futuro diventa una forma di tortura, creando una trama di sofferenza che abbraccia non solo lui ma anche coloro che gli sono vicini ).

Luna Casarotti, Associazione Yairaiha ETS


Lo sportello di supporto psicologico per i familiari dei detenuti, da cui prende le mosse anche questa rubrica, va allargandosi progressivamente. Non solo vi partecipano i familiari delle persone uccise dal carcere, ma anche i familiari dei detenuti che vivono un calvario all’interno del sistema penitenziario a causa di patologie non conciliabili con la detenzione, mancanza di cure fisiche e psicologiche. Vi sono inoltre ex detenuti che hanno vissuto l’oscurità delle celle e che condividono la propria storia. Tutti sono benvenuti a partecipare, ogni contributo è importante. Le riunioni si svolgono ogni venerdì dalle 17:45 alle 20:00. Il link per accedere alla riunione settimanale viene pubblicato qualche giorno prima dell’incontro sul gruppo Telegram “Morire di carcere” e su quello Whatsapp “Sportello di supporto psicologico per i familiari dei detenuti” . Adesioni e lettere possono essere inviati all’indirizzo e-mail dell’associazione Yairahia Ets (yairaiha@gmail.com).

TESTO PDF – Condello Pasquale

ROMA: IL CORTEO PER ILARIA E LE ALTRX ANTIFA BLOCCATO PER ORE E CARICATO

Diffondiamo:

“Dall’Ungheria alla Palestina Free Them All: al fianco di Gabri, Ilaria, Tobias e i/le compagn* sotto processo, detenut*, ricarcat* “

Il corteo in solidarietà a Ilaria e a tuttx i/le prigionierx è stato bloccato per circa due ore nei pressi dell’ambasciata dell’Ungheria e poi attaccato con una pesante carica per impedire ai compagnx di raggiungere il corteo per la Palestina. Alle 17.30 il corteo è riuscito a ripartire.

LIBERTÀ PER TUTTX LE ANTIFA!

UDINE: TATTOO CIRCUS BENEFIT CONDANNATX DEL BRENNERO

DOMENICA 18 FEBBRAIO
Allo Spazio Autogestito di Via de Rubeis 43, Udine

Il 7 maggio del 2016 un corteo di varie centinaia di persone si batte per diverse ore al passo del Brennero bloccando autostrada e ferrovia per più di mezza giornata, in risposta alla proclamata intenzione del governo austriaco di costruire un muro anti-immigrati alla frontiera italo-austriaca con la complicità dell’Italia.
Lo Stato decise di processare per quella giornata in totale più di 120 compagni e compagne. La sentenza d’appello ha alla fine condannato 63 di loro ad un totale di 123 anni di carcere. Qualora le condanne fossero confermate in Cassazione, il 5 marzo prossimo, una trentina tra compagne e compagni potrebbero finire in carcere, vari altri e altre ai domiciliari.
Come transfemministx riteniamo fondante l’intersezionalità delle lotte e l’importanza di sostenerci l’unx l’altrx contro la repressione che avanza e che colpisce chiunque si esponga contro le nocività e le oppressioni sistemiche.
Ora come allora siamo dalla parte di chi, per mezzo dell’azione diretta, decide di attaccare le strutture e i responsabili di questo sistema di asservimento e devastazione, perchè abbattere le frontiere non può essere solo uno slogan con cui reclamare il ritorno a Schengen o una diversa politica di “accoglienza” da parte delle istituzioni e nemmeno una mera espressione di solidarietà nei confronti dei profughi. Significa battersi autonomamente – con quelli che ci stanno – per sconvolgere un ordine sociale marcio fino al midollo.

PROGRAMMA DELLA GIORNATA

Ore 10.30
Aggiornamento sul processo e discussione a partire da quella giornata di lotta e i suoi legami con il presente.

a seguire PRANZO SOCIALE VEGAN

Nel pomeriggio furious feminist dj set con ERIKA e URANIA IMPOVERITA

Tutto il giorno TATTOO

Come funziona la Tattoo circus

Tattoo Artists presenti:

Lady Electric Ljubljana
Se hai già in mente un tatuaggio (medie o piccole dimensioni) contatta Lady Electric per metterti d’accordo e prenotare un posto scrivendo a ladyelectrictattoo@gmail.com

Krina
Se ti piace lo stile di Krina vieni a vedere il suo flash book e decidi sul momento!

ANGOLO TAROCCHI a cura di Coco
Avete bisogno di un consiglio su quella situazione che vi sembra proprio irrisolvibile? Magari una lettura può aiutarvi a fare chiarezza sui vostri sentimenti e darvi un piccolo suggerimento.
N.B. Qui non si predice il futuro!

Banchetti informativi
Distro
Cibarie vegane e senza glutine
Autoproduzioni
e ciò che va oltre la fantasia…

SE SEI MOLESTO STATTENE A CASA TUA

Se hai domande e curiosità puoi scrivere a laboratoria.tfq.ud@canaglie.org
https://laboratoriatfqudine.noblogs.org/

UNA GRAVE STORIA DI VIOLENZA MEDICA AL CARCERE DI PARMA

Riceviamo e diffondiamo la storia di Sereno Quirino, detenuto da sedici anni nella casa circondariale di Parma.

Mi chiamo Luca Sereno e scrivo per denunciare il trattamento a cui è sottoposto mio padre, Sereno Quirino, detenuto da 16 anni nella casa circondariale di Parma. Negli ultimi anni, ha affrontato gravi problemi di salute, tra cui dischi intervertebrali schiacciati lungo la spina dorsale, calcificazione delle rotule della gamba destra e sinistra, 6 tumori benigni rimossi tra intestino e colon, macchie nere nei polmoni e varie altre patologie.

All’arresto, 16 anni fa, mio padre non presentava alcuno di questi problemi, ma ora è costretto a utilizzare stampelle e, in alcuni giorni, una sedia a rotelle. Durante i processi, viene trasportato in ambulanza e giunge in tribunale sdraiato su un lettino a causa dei suoi gravi problemi di salute.

Dopo molte lotte e richieste con il mio avvocato, siamo riusciti a ottenere visite più complete e specializzate per le sue patologie presso il Centro dei Dolori. Prima di queste visite, a mio padre venivano somministrati diversi medicinali, tra cui Seroquel da 200 mg (tre pastiglie al giorno, quindi 600 mg), Irika, Stinox, Contromal e molti altri. La sua cartella clinica è estremamente complessa, e anche ricordare tutti i farmaci a memoria risulta impossibile.

Questo per evidenziare la difficile situazione di salute di mio padre, che necessita di cure adeguate e di un’attenzione particolare da parte delle autorità penitenziarie. Riusciamo a farlo visitare al Centro dei Dolori, dove dopo esami specializzati per i suoi dolori, gli viene prescritto il cerotto di Fentanil. Questo cerotto rilascia il principio attivo nel corpo per tre giorni, successivamente viene cambiato. Inizia con il dosaggio da 25, poi passa a quello da 50 e infine a quello da 100. A ciò si aggiungono i suoi medicinali “di sempre”, con l’eccezione del Contromal, che viene sostituito dal Fentanil in cerotto.

Circa 3-4 mesi fa, mio padre viene sottoposto a un controllo al Centro dei Dolori. Durante questo controllo, la dottoressa, senza spiegazioni, decide di interrompere tutti i medicinali, compreso il cerotto di Fentanil, in un periodo di soli 9 giorni. Questo avviene dopo anni di assunzione regolare, e la rapida diminuzione delle dosi, senza alcun adeguato scalaggio, solleva interrogativi sulla motivazione di una scelta così drastica. È evidente che una persona che ha assunto dosi così elevate di medicinali derivati dalla morfina e oppiacei per molti anni potrebbe reagire in modo significativo a una interruzione così improvvisa e completa del trattamento. Restiamo perplessi e ci chiediamo quale possa essere il motivo dietro una decisione così radicale, specialmente considerando gli anni di somministrazione di questi farmaci. Mio padre non ha certo guarito miracolosamente da un giorno all’altro; al contrario, la sua situazione è peggiorata. È come se andaste dal medico con la febbre e, anziché prescrivervi una normale tachipirina o effettuare esami specialistici, vi privasse improvvisamente del trattamento. Questo esempio, seppur semplice, mira a illustrare la gravità della situazione. Una dottoressa ha compiuto un gesto simile, togliendo tutto senza apparente motivo. Benché conoscessimo il motivo, senza prove non possiamo dichiararlo apertamente. È evidente che si tratti di qualcosa di più, poiché anche un bambino comprenderebbe che un’azione del genere equivale a tortura.

Dopo quel giorno, mio padre ha subito un intervento per rimuovere polipi e tumori (sei in totale, tra colon e stomaco). Sorprendentemente, dopo l’operazione, non gli è stato somministrato alcun antidolorifico o sollievo. Abbiamo presentato denunce, ma le risposte sono state deludenti, come il commento della dottoressa che ha dichiarato di pensare di aver aumentato il cerotto. Questo è solo un esempio delle risposte ricevute.

Ho deciso di condividere questa storia su una pagina Facebook dedicata ai diritti dei detenuti, accompagnata da foto che documentano quanto accaduto. La trasformazione di mio padre da prima di quel tragico giorno a ora è evidente durante le videochiamate, quando lo vedo in una sedia a rotelle, senza parlare e soffrendo visibilmente. La sensazione di impotenza di fronte a questa situazione mi distrugge, e il dolore che sto vivendo è straziante. Mio padre sta morendo lentamente davanti ai miei occhi, e mi sento totalmente impotente. Dopo questo articolo pubblicato su Facebook, una ragazza dell’Associazione Yairaiha ETS, contatta la garante dei detenuti di Parma, che visita immediatamente il carcere per comprendere la situazione. Nonostante le rassicurazioni iniziali, viene promesso a mio padre un sostituto del cerotto con lo stesso principio attivo come antidolorifico. Tuttavia, questa promessa si rivela una presa in giro, poiché dopo diverse settimane, mio padre è ancora nella stessa situazione.

La garante, chiedendo aggiornamenti, riceve risposte ingannevoli, affermando che tutto è a posto. In realtà, a mio padre è stato somministrato solo uno psicofarmaco che, anziché alleviare il dolore, lo ha reso quasi catatonico. È vergognoso vedere come invece di fornire un antidolorifico di cui mio padre ha estremo bisogno, venga somministrato un farmaco che lo sta trasformando in uno stato quasi vegetativo. Fortunatamente, mio padre ha rifiutato questo psicofarmaco, dimostrando una lucidità che sembra mancare nelle decisioni della struttura penitenziaria. La situazione che mio padre sta vivendo è un chiaro caso di tortura, una pratica inaccettabile. Nonostante gli sforzi della garante dei detenuti, la presa in giro continua, e nemmeno le informazioni sui medicinali somministrati vengono fornite chiaramente.

Chiedo a chiunque legga questo testo di aiutarmi. Non sto cercando la liberazione di mio padre né sconti di pena; è responsabile delle sue azioni e deve affrontare le conseguenze. Tuttavia, non merita di essere sottoposto ad una simile tortura. Non sto chiedendo l’impossibile, solo giustizia e un trattamento umano. La sua salute è in serio pericolo, e non posso rimanere inerte, aspettando che la situazione peggiori.

Vi prego, chiunque possa aiutare, chiunque possa fare qualcosa, vi chiedo aiuto. Non so più a chi rivolgermi, mi sento impotente. Questa non è solo una questione di diritti umani, ma di umanità. Spero che la vostra solidarietà possa portare a un cambiamento positivo per mio padre.

Di Luca Sereno, ( figlio di Quirino Sereno)

BOLOGNA: MICROZAD AL PARCO DON BOSCO

Cosa ci fanno delle casette sull’albero al Parco Don Bosco? Perché c’è sempre gente, iniziative e socialità? Cosa succede a Bologna accanto alle Scuole Besta? Di seguito un piccolo racconto, sicuramente parziale e non esaustivo, dell’inedita resistenza che sta vedendo protagonista un parco e i suoi abitanti, nel contesto del cemento bolognese.

Da diversi mesi un comitato di cittadinx è riuscito a rompere il silenzio intorno al progetto di “riqualificazione” delle scuole Besta. Parliamo di oltre 18 milioni di euro per abbattere decine di alberi ad alto fusto, distruggere la fauna presente, non ristrutturare e demolire la scuola esistente, e ricostruirne una nuova accanto – “green” – asfaltando il parco. Un vero capolavoro.

Il 16 dicembre 2023 circa duecento persone tra abitanti e giovani del quartiere, collettivi e realtà ecologiste, cittadine e cittadini in lotta contro il Passante di mezzo, e un’idea di città escludente ed esclusiva, hanno attraversato il quartiere San Donato in corteo per dire no alla devastazione del Parco Don Bosco. Sono state organizzate iniziative, momenti di incontro e confronto, oltre che costanti presidi per impedire l’inibizione dell’accesso al parco.

Il 29 gennaio, quando operai e municipale si sono presentati per recintare definitivamente l’area in vista degli abbattimenti, un gruppo di cittadinx si legato agli alberi, mentre le abitanti del quartiere hanno divelto le recinzioni per impedire l’allestimento del cantiere. Da quel giorno il Parco Don Bosco è presidiato costantemente, animato da iniziative, momenti di incontro e libera socialità, colazioni, pranzi, cene, merende, bricolage, sculture in legno, casette sull’albero, tende, tessuti, trapezi, musica e discussioni!

Una situazione assolutamente inedita e singolare per le nostre latitudini, soprattutto all’interno di contesti iper-urbanizzati, una vera e propria micro ZAD in città – Zone a Defendre, Zona da difendere – inserita come un cuneo tra i palazzi della fiera e i progetti dell’amministrazione, in cui abitanti del quartiere, di età e generazioni diverse, si stanno incontrando, vincendo pregiudizi e paure, non solo per difendere un parco, ma contro un modello di sviluppo insensato che annienta la vita di individui, territori e comunità, e un’idea di città “green” come il colore dei soldi. In barba a chi avrebbe già voluto vederlo distrutto, il Parco Don Bosco oggi è più vivo che mai!

ZAD – Zone a Defendre, Zona da Difendere – è un neologismo francese che indica quelle occupazioni che hanno lo scopo di bloccare progetti dannosi e nocivi per comunità e ambienti, rendendo possibile, qui e ora, la riappropriazione collettiva da parte delle comunità dei territori che abitano, oltre le logiche del consumo e del profitto.

Qualcuno non aveva fatto i conti con una comunità ostinata!
Siamo tuttx invitatx a presidiare il Parco!

IL PARCO DON BOSCO NON SI TOCCA!

Alcunx abitanti in lotta


Testo in PDF: MICROZAD AL PARCO DON BOSCO

BOLOGNA: TAZ – TEMPORARY AUTONOMOUS ZONE

Diffondiamo:

In risposta alla repressione che prova ad inficiare ogni forma di autodeterminazione ed emancipazione collettiva, che tenta costantemente di demonizzare l’autogestione relegandola ad un problema di ordine pubblico, abbiamo deciso di occupare e costruire collettivamente giornate di libertà e anarchia.

Dalle 18:00
Presentazione delle fanzine “Repressione e acidità di stomaco”:
-Presi a Maalox

Dalle 20:00
-Tavola rotonda tema:
Free party  e  repressione

Dalle 22:00
Proiezioni di KomaK (2002) diretto da Alberto Grifi e a seguire altri film..

A SEGUIRE BALLI PROIBITI…

Double stage!

Area chill out , info point, intervento RdR

TAZ in diretta con Radio Spore

Stand autoproduzioni, Bar, Buffet

NO MACHISM , NO FASCISM, NO SEXISM, NO RACISM

NO SOCIAL, NO DIRETTE, NO FOTO

VIA PRATI DI CAPRARA 12, BOLOGNA

BOLOGNA: IN SOLIDARIETÀ A JUAN

Diffondiamo:

Oggi 26 gennaio si è tenuta l’udienza in Cassazione per il nostro compagno anarchico Juan, in carcere dal 2019 per un attacco contro la sede della Lega di Villorba, condannato in appello a 14 anni e sette mesi. A Bologna sono stati appesi due striscioni, uno in Piazza dell’Unità, uno in zona universitaria, dove sono stati distribuiti e affissi anche volantini in solidarietà.
Non sappiamo chi ha colpito la sede trevigiana della Lega quel giorno ma abbiamo ben chiaro che le vere stragi sono da un’altra parte.

Solidalirietà a Juan! Contro il razzismo genocida di Stato e Lega Nord! Contro il massacro del popolo palestinese! Solidarietà a tuttx lx antifascistx e rivoltosx internazionalistx in Ungheria, in Europa, nel mondo! Contro le frontiere! Solidarietà allx anarchichx imputatx nel processo del Brennero!

 

AGGIORNAMENTO SUL PROCESSO RONDENBARG – AMBURGO G20 2017

Riceviamo e diffondiamo un aggiornamento sul processo Rondenbarg,  Amburgo G20 2017.

Il 18 gennaio ad Amburgo si è aperto il processo Rondenbarg, legato al corteo della mattina del 7 luglio 2017, in occasione del G20. 73 persone di diverse nazionalità (tra cui due italianx) sono accusatx di “grave violazione della quiete pubblica, violenza contro pubblici ufficiali con un caso particolarmente grave, nonché tentate lesioni personali gravi, formazione di gruppi armati e danni alle cose” per aver preso parte ad un corteo di circa 200 persone che fu violentemente represso dalle forze dell’ordine pochi minuti dopo la partenza. Il bilancio dell’operazione fu di un numero imprecisato di feriti tra cui 14 gravi, alcunx con danni permanenti, e 59 arresti, alcunx rilasciatx tre giorni dopo alla fine del vertice, altrx rimastx per settimane o mesi in custodia cautelare in carcere.
Si tratta di un processo politico, nel quale la Procura di Amburgo vuole dimostrare che la sola presenza ad una manifestazione sia sufficiente per condannare per “supporto morale”, reato depenalizzato nel 1970 e reinserito poco prima del G20 appositamente per colpire x manifestantx.
Per ora sono state fissate 25 udienze fino ad agosto. Durante le prime udienze sono stati visionati dei filmati del corteo e si è discusso sulla natura di esso per capire se l’accusa fosse applicabile applicabile o meno. La prossima udienza si terrà l’8 febbraio, seguiranno aggiornamenti.

Segue una traduzione di un quadro di quanto accaduto dal 2017 ad oggi, dal sito https://gemeinschaftlich.noblogs.org/ su cui sono disponibili ulteriori aggiornamenti e informazioni in tedesco.

Qui un aggiornamento a cura di osservatorio repressione https://www.osservatoriorepressione.info/riprendono-processi-g20-del-2017-ad-amburgo/

Informazioni di base sul processo Rondenbarg

Nel luglio 2017 si è svolto ad Amburgo il vertice annuale del G20, in cui si incontrano i capi di Stato e di governo dei venti paesi più potenti del mondo. In quell’occasione decine di migliaia di persone si sono recate ad Amburgo per scendere in piazza contro i negoziati capitalisti e per un mondo più giusto senza sfruttamento e oppressione. Già prima dell’inizio del vertice la città di Amburgo era blindata da forze dell’ordine e da restrizioni alla libertà di aggregazione come il divieto di manifestazioni in un’area di oltre 30 chilometri quadrati dal centro e il divieto di accampamento.
La prima manifestazione “Welcome to hell” della sera del 6 luglio fu brutalmente caricata e dispersa dalla polizia. Il 7 luglio, primo giorno del vertice, migliaia di attivistx erano in giro fin dalle prime ore del mattino per manifestare e bloccare le vie di accesso ai partecipanti al vertice. Dal campeggio autorizzato nel parco di Altona (fuori dall’area oggetto di restrizioni) sono partite diverse manifestazioni che dovevano congiungersi al corteo principale. Sulla strada per il centro della città, in via Rondenbarg, un gruppo di circa 200 persone è stato bloccato da diverse unità di polizia con idranti che hanno chiuso il corteo davanti e dietro e hanno brutalmente caricato la manifestazione da entrambi i lati costringendo le persone a disperdersi. I manifestanti sono stati violentemente buttati a terra, picchiati ed insultati, ci sono state numerose persone ferite che hanno riportato lacerazioni, contusioni, vertebre compresse e fratture ossee anche esposte. I vigili del fuoco sono arrivati sul posto con 12 ambulanze e 5 veicoli sanitari di emergenza e in un comunicato stampa hanno parlato di “incidente con vittime in massa”.[1]
Ferite particolarmente gravi sono state causate tra l’altro da una ringhiera che si è staccata quando i manifestanti hanno tentato di scappare scavalcandola, venendovi spinti contro dalla polizia. La ringhiera si ruppe e alcunx attivistx caddero con essa da un altezza di circa quattro metri. L’episodio venne così commentato alla radio della polizia: “li hanno proprio fatti a pezzi!”.[2] Il dispiegamento di polizia per l’operazione prevedeva oltre a un centinaio di guardie e due idranti, anche l’unità di arresto e conservazione delle prove (BFE) “Blumberg” della polizia federale, nota per i suoi comportamenti violenti, e l’unità speciale di supporto bavarese (USK).
In totale a Rondenbarg sono state fermate 73 persone, di queste, 59 sono state arrestate e portate al centro di raccolta carcerario (GeSa), le altre 14 sono state trasportate in ospedale con ferite gravi e alcune hanno riportato danni permanenti. Alcunx arrestatx sono rimastx per più di 24 ore nelle celle del GeSa costantemente illuminate, strette e soffocanti e sono stati poi trasferitx in vari istituti penitenziari, anche durante la notte, dopo essere statx condannatx dai “Tribunali accelerati” istituiti appositamente per il vertice del G20. Delle 59 persone arrestate, 42 sono state rilasciate solo domenica 9 luglio dopo la conclusione del vertice. Per altre 12 persone invece è stata disposta la custodia cautelare in carcere, che è caduta solamente dopo settimane, o in alcuni casi mesi, di detenzione.[3]

Fabio, italiano, ha trascorso quasi cinque mesi in custodia ad Amburgo dopo il suo arresto a Rondenbarg. Il suo processo è stato sospeso nel febbraio 2018 perché la giudice è andata in maternità. Nel processo di Fabio, la volontà incondizionata della magistratura di perseguire si è espressa non solo nella durata della custodia cautelare in carcere, ma anche nelle dichiarazioni rese dal giudice regionale Tully durante le udienze per la richiesta di revoca della custodia cautelare. Senza nemmeno aver mai visto Fabio e senza avere nemmeno un rapporto a disposizione, il giudice Tully ha ipotizzato che il diciannovenne avesse “un’inclinazione alla violenza” e “significative carenze caratteriali e educative”. Il concetto di “inclinazione alla violenza” fu introdotto nel diritto penale minorile tedesco dai nazisti nel 1941 e venne mantenuto anche durante la revisione della legge nel 1953. [NdT il processo di Fabio è stato archiviato senza ulteriori richieste nell’autunno 2023]

Le indagini sono state seguite dal SOKO Black Block, unità speciale appositamente costituita, che ha successivamente identificato altrx attivistx tramite fotografie e ha effettuato decine di perquisizioni domiciliari. Finora il Tribunale distrettuale ha presentato accuse contro un totale di 73 imputatx divisx in otto gruppi procedurali.[4] Tuttavia, le indagini sono state notificate ad un totale di 85 persone.
Tra questi vi sono tre cittadinx svizzerx che sono stati giudicati dal Tribunale di Zurigo per il procedimento Rondenbarg. Il loro processo, inizialmente rinviato a causa del Covid, si è svolto solamente il 16 aprile 2021 presso il Tribunale distrettuale di Zurigo. In questo processo il giudice aveva già emesso il verdetto in anticipo. Nel fascicolo del Tribunale messo a disposizione per l’ispezione prima del processo c’era infatti un documento con una sentenza già completamente formulata contenente le motivazioni del giudice Vogel, datato autunno 2020. Gli imputati hanno lasciato l’aula durante il processo per protesta contro questa farsa. Il verdetto è arrivato per iscritto il 21 aprile 2021: due compagnx sono statx giudicatx colpevoli e condannatx al pagamento di multe per violenza e minacce contro pubblici ufficiali e per violazione della quiete pubblica,[5] mentre il terzo è stato assolto.
Il 3 dicembre 2020 presso la Camera penale minorile 27 del Tribunale regionale di Amburgo, è iniziato il processo contro x cinque imputatx più giovani, che nel luglio 2017 erano ancora minorenni. L’imputazione, per queste cinque persone come per le altre, è quella di “grave violazione della quiete pubblica, violenza contro pubblico ufficiale con un caso particolarmente grave, nonché tentate lesioni personali gravi, formazione di gruppi armati e danni alle cose”, il processo avrebbe dovuto svolgersi a porte chiuse. Il giudice Halbach, che ha in carico il processo, è noto per le sue dure condanne contro gli occupanti abusivi e per le condanne lievi o sospese contro gli stupratori di gruppo. Tuttavia, solo le prime due udienze hanno avuto luogo il 3 e il 9 dicembre 2020.[6] Il 27 gennaio 2021 il processo è stato annullato a causa del Covid.[7]
Un nuovo tentativo da parte del tribunale nel procedimento Rondenbarg avrà luogo nel gennaio 2024. Il processo contro sei imputatx inizierà il 18 gennaio 2024 ad Amburgo, finora sono state fissate 25 udienze. La procura non accusa lx imputatx di alcuna azione personale: con l’ausilio della formula “azione collettiva” si mira ad emettere condanne senza avere prove concrete e individuali delle accuse, ma basandosi solamente sulla presenza ad una manifestazione. L’obiettivo è criminalizzare chiunque prenda parte ad una manifestazione. Se il Tribunale desse seguito alle richieste del pubblico ministero e condannasse le persone coinvolte nel procedimento Rondenbarg, la libertà di riunione, il mezzo più importante del dibattito politico negli spazi pubblici, sarebbe fortemente messa a rischio.
L’intento della Procura della Repubblica è annullare la riforma sulla violazione della pace del 1970, paragrafo 125: prima del 1970, la semplice presenza in una “assemblea non pacifica” era un reato penale.[8] Oggi, il cosiddetto “supporto morale” viene talvolta utilizzato per condannare le persone come “complici”: questa interpretazione è già stata utilizzata nel processo Elbchausee sempre per fatti accaduti nel contesto del G20, sebbene la Corte federale di giustizia (BGH) abbia più volte sottolineato in passato che la semplice presenza in una “folla violenta” non è sufficiente per una condanna per violazione della pace. Nel 2017, tuttavia, la Corte federale di giustizia ha deciso che le “marce ostentate” [“ostentative Mitmarschieren” NdT] potevano essere punite per violazione della pace, sebbene questa norma dovrebbe applicarsi ai gruppi di hooligan e non alle manifestazioni politiche.[9]

La campagna “Gemeinschaftlicher Widerstand” [resistenza comunitaria NdT] è stata lanciata alla fine del 2019 con l’obiettivo di portare sostegno politico alle persone imputate nel cosiddetto procedimento Rondenbarg del G20 e prevede presidi, manifestazioni, eventi e altre azioni di solidarietà, l’appello alla solidarietà è stato firmato da più di 100 realtà. Sosteniamo le persone colpite attraverso una rete di relazioni e azioni di protesta. La nostra solidarietà va a tuttx x compagnx colpitx dalla repressione dello Stato.

Per la chiusura del procedimento e la liberazione dei prigionieri!

 


NOTE

1 Comunicato stampa dei vigili del fuoco di Amburgo, 7 luglio 2017 https://web.archive.org/web/20171201032002/https://www.presseportal.de/blaulicht/pm/82522/3679470
2 “Die haben sie ja schön platt gemacht, alter Schwede” Dal giornale serale ARD, 10 agosto 2017 https://www.youtube.com/watch?v=EdJKWGVd5jg
3 Risposta del Senato a un’interrogazione della sinistra sulle misure che comportarono la privazione della libertà durante il vertice del G20, 12 giugno 2018 https://kleineanfragen.de/hamburg/21/13300-freiheitsentziehende-massnahmen-bei-dem-g20-gipfel
4 Comunicato stampa del Tribunale regionale superiore anseatico, 27 novembre 2020 https://web.archive.org/web/20201127171600/https://justiz.hamburg.de/pressemitteilungen/14681614/pressemitteilung-2020-11-27-olg-01/
5 Comunicato sulla sentenza della Rote Hilfe Schweiz, 22 aprile 2021 https://rotehilfech.noblogs.org/post/2021/04/22/urteil-im-zurcher-g20-prozess/
6 Rapporti sul processo di Rondenbarg sul blog della Rote Hilfe Rondenbarg https://rondenbarg-prozess.rote-hilfe.de/category/prozessberichte/ e su United we Stand https://unitedwestand.blackblogs.org/category/rondenbarg/
7 Avviso di chiusura del processo sul blog Rondenbarg della Rote Hilfe https://rondenbarg-prozess.rote-hilfe.de/category/prozessberichte/
8 Articolo al CILIP sulla storia del diritto di manifestare, 7 agosto 2002 https://www.cilip.de/2002/08/07/per-gesetz-gegen-ein-grundrecht-eine-kurze-geschichte-des-demonstrationsrechts/
9 Sentenza della Corte Federale di Giustizia (BGH) del 24 maggio 2017 https://www.hrr-strafrecht.de/hrr/2/16/2-414-16.php

 

NUOVA EDIZIONE ANARCOQUEER “COME STORMI DEL CAOS. Un progetto queer nichilista e insurrezionale”

Diffondiamo:

“COME STORMI DEL CAOS. Un progetto queer nichilista e insurrezionale”

Una rivisitazione in chiave anarchica delle teorie queer antisociali, per un progetto insurrezionale e nichilista di attacco all’esistente.

128 pagine, 8 euro a singola copia, 5 euro da cinque copie in su Collana Le Affinità Elettive.

Per ordinare il libro: anarcoqueer@riseup.net

Dalla prefazione:

[…] “Come stormi del caos” trae ispirazione da un filone particolare delle teorie queer, quello cosiddetto “antisociale”, pescando in particolare da autori e collettivi come Lee Edelman, Jack Halberstam, Guy Hocquenghem e il FHAR, ma anche da autori e autrici già riconosciutx per la validità della loro critica sociale, anche se non ascrivibili a un ambito anarchico, come Silvia Federici, Jacques Camatte e Walter Benjamin, in particolare per quanto riguarda le loro riflessioni più riuscite sul capitalismo, la domesticazione, il corpo e la storia; non facendo, in questa operazione, distinzioni tra analisi prodotte in ambito accademico e analisi provenienti da ambienti militanti, ma saccheggiando apertamente quegli aspetti della teoria che possono essere declinati in una prospettiva anarchica e scartando quello che invece è ritenuto superfluo o non condivisibile.
La prospettiva insurrezionale dell’attacco, in contrapposizione con una visione attendista che investe energie nella crescita del movimento in vista di una futura ipotetica “rivoluzione sociale”, si accompagna qui a un approccio nichilista di critica a tutti quei progetti “positivi” di riformismo, inclusività o creazione di alternative alle storture sociali, in quanto facilmente recuperabili dal potere e, anzi, materiale utile per la ristrutturazione in chiave “progressista” (e quindi ancora più totalizzante) del sistema capitalista e dello Stato.
Da qui l’idea di una queerness che, per esprimere al meglio il suo potenziale, rivendica la propria negatività, trasformando in una promessa quell’accusa reazionaria che la vede come prodromo e sintomo del disfacimento dell’ordine sociale. Una queerness che dev’essere quindi anti-politica, perché proprio la politica, nel suo progettare il futuro per garantire la sopravvivenza dell’ordine sociale, è il luogo principale della riproduzione di quell’ordine. Nel suo incrinare l’ideologia del “futurismo riproduttivo”, una queerness che si rivendica come puramente negativa va a spezzare quelle norme che rendono possibile l’assetto sociale assieme a tutti i suoi ruoli, non solo quelli di genere ma anche quelli militanti e rivoluzionari, che nella loro astrazione tentano di rendere intelligibile il soggetto del rifiuto, mantenendolo nell’alienazione e censurando la sua ricerca di gioia immediata, di conflitto, di godimento. Il futuro come ideologia, come luogo-trappola, che secondo le parole di Bædan “assicura il sacrificio di ogni energia vitale per la pura astrazione del proseguimento idealizzato della società”. […]


Ricordiamo che sono ancora disponibili le uscite precedenti delle
edizioni Anarcoqueer:

* “STREGHE ISTERICHE UNTRICI. Il ruolo della medicina nella repressione delle donne”. 172 pagine, 10 euro a singola copia, 7 euro da cinque
copie in su

* “Guerriglia Frocia. Testi di Ed Mead e Rita “Bo” Brown sulla George Jackson Brigade e il collettivo gay anticarcerario Men Against Sexism
(1975-1978)”. 112 pagine, 8 euro a singola copia, 5 euro da cinque copie
in su

* “DECOLONIZZARE LA PALESTINA. La Palestina attraverso la storia e il
rainbow washing di Israele”. 164 pagine, 9 euro a singola copia, 6 euro
da cinque copie in su