UNA LETTERA DA STECCO

 

Da Il Rovescio una lettera di Stecco:

25/12/2023

Carcere di Sanremo

Questo scritto non è un comunicato. Qui non vi leggerete riflessioni sul mio arresto o riguardo a questa nuova esperienza carceraria, o su altre questioni politiche. Esse arriveranno al momento opportuno, cioè quando riterrò sedimentate alcune faccende personali, e alcune riflessioni che stanno maturando in questi primi mesi di detenzione.

Questo umile scritto ha il semplice scopo – per me doveroso – di ringraziare, salutare, e di portare solidarietà anche da dentro queste mura.

Ho atteso un poco prima di decidermi nel mettere giù queste mie parole, anche se la decisione di metterle su carta era già stata presa la sera del 4 dicembre, giorno dell’udienza al Tribunale di Imperia, per il documento falso trovatomi addosso il giorno cui la mia esperienza di latitante è stata fermata da un gruppo operativo dei Nocs.

Quel giorno al tribunale, mentre ero nel gabbione, l’avvocato mi ha annunciato della scomparsa di mia madre. Non è mio interesse raccontare questioni diciamo personali, bensì voglio raccontare – questo sì – della presenza dei compagni e compagne in aula, della loro vicinanza, della loro forza, e dell’ennesima prova di solidarietà. Ma anche dei compagni e compagne che al suo funerale hanno deposto dei fiori, facendomi così partecipe, con questo gesto, ad un momento importante della mia vita, a cui, per mia pregressa decisione, avevo deciso di non partecipare. Questi gesti, assieme alla mole di parole di vicinanza che mi arrivano per lettera, ad alcune azioni di solidarietà, è qualcosa di difficile descrizione riguardo a quello che provo, sono fatti che mi riempiono di orgoglio e di determinazione. È una consapevolezza che mi accompagna da anni, l’esistenza della solidarietà tra compagni e compagne, tra sfruttati e sfruttate, esiste, è palpabile, essa va al di là del singolo, della mia situazione specifica, questa ha poca importanza davanti alle responsabilità nel continuare la lotta, davanti alle necessità storiche di innescare la rivoluzione sociale.

Io sono solo un umile compagno che prova a mettere tutto quello che ha a disposizione per raggiungere i più alti fini di libertà ed emancipazione per tutti e tutte. Per questo non sono abbattuto nel trovarmi in questo luogo, perché sono in mezzo agli ultimi, agli esclusi, a chi appartiene a questa classe sfruttata. In mezzo a loro, indipendentemente dalle differenze e contraddizioni, continuo a portare il mio contributo alla lotta, alla presa di coscienza. Lo Stato un’altra volta sta fallendo nel provare a spezzare la nostra solidarietà, i nostri legami politici, affettivi amicali, e in primis quelli di affinità. Un’unione su cui non ho dubbi riguardo alla tenuta, nella sua consistenza e presenza, in cui ripongo tutta la mia fiducia ed energie. Un’unione che so che tutti assieme terremo salda nel prossimo futuro, visto che siamo consapevoli che qui in Italia molti di noi finiranno nelle maglie repressive per la conclusione di vari processi.

Anni che affronteremo con dignità, dove ognuno di noi sarà sostegno l’uno dell’altro, dove questo tempo non sarà vissuto passivamente, ma attivamente, per continuare la nostra battaglia per i nostri ideali, per un’idea di giustizia e libertà, un’idea che si chiama Anarchia.

Tutte queste certezze ho percepito in aula. Tutte le nostre difficoltà, tutti gli ostacoli che abbiamo attorno in questa fase storica possono essere superati con la forza di volontà, nello studio, nell’unione.

Purtroppo quattro giorni dopo ho saputo della scomparsa del compagno anarchico Alfredo Maria Bonanno. È stato un altro momento per confrontarmi con il dolore, perché assieme a tanti altri compagni e compagne abbiamo avuto modo di leggere le sue parole, confrontarsi con la sua personalità, per alcuni e alcune l’aver potuto agire assieme a lui nel corso della sua vita dedicata alla lotta, a un ideale.

Un compagno verso il quale ho un senso di gratitudine per la mia formazione ideale e politica.

Mi ritengo fortunato di aver potuto, assieme ad altri, organizzare con lui i comizi anarchici nell’inverno 2021 a Trieste. Comizi in cui aveva voluto presenti dei grandi drappi neri, simbolo della nostra rivolta anarchica, drappi che oggi innalziamo per la sua dipartita.

Ho fresche nella memoria le discussioni con lui prima di partire latitante, davanti ad un piatto di pasta in un’osteria, e potermi stupire ancora della sua forza, determinazione, lucidità.

Colgo quest’occasione per portare il mio cordoglio alla sua famiglia, ai suoi affetti, e ai compagni e compagne delle edizioni Anarchismo.

Concludo dicendo che:

– Saluto con viva forza il coraggio e la determinazione dei compagni Francisco Solar e Monica Caballero, che il 7 dicembre sono stati condannati dallo Stato cileno;

– Porto la mia vicinanza ai comuneri mapuche della CAM condannati recentemente dallo Stato cileno, e a quelli che nei prossimi mesi subiranno la repressione dei tribunali per la loro giusta resistenza;

– Saluto Gabriele, Tobias, e Ilaria, arrestati dallo Stato ungherese. Buona fuga a chi si sta sottraendo dalla morsa delle manette, così facendo dimostrano che le strade della libertà sono sempre aperte;

– Ringrazio i compagni e le compagne greci, sia per la loro dignità nell’affrontare la repressione, sia per tener viva la memoria rivoluzionaria, ma soprattutto per il loro continuo contributo analitico utile a tutto il movimento rivoluzionario;

– Ringrazio i compagni bielorussi nel loro trasmettere parole coraggiose dalle galere del regime di Lukaschenko in questi anni di guerra. Solidarietà a tutti i disertori di ogni guerra e di ogni nazione;

– Mando forza al compagno francese Boris per un suo miglioramento di salute;

– Libertà immediata per i prigionieri Giannis Michailidis e Nikos Maziotis in Grecia, a Marcelo Villaroel in Cile, a Claudio Lavazza in Francia;

– Auguro buona libertà e ritorno dai propri affetti dopo tanti anni di galera a Pola Roupa, Thomas Meyer Falk, Gabriel Pombo da Silva e a Davide Delogu, anche se ancora ristretto agli arresti domiciliari;

– Saluto Anna, Poza, Nasci, Rupert, Dayvid, Zac, Saverio, Paska, Stefano, Juan, rinchiusi assieme a me nelle patrie galere di questo Stato. A Sasha ristretta agli arresti domiciliari;

– Mi unisco a voi fuori con quello slogan che in tanti e tante avete urlato negli scorsi mesi: “Fuori Alfredo dal 41bis”. Un abbraccio particolare a lui. Fuori tutti e tutte da quel regime detentivo;

– Per ultimo, con il dolore nel cuore, mando un saluto a pugno chiuso al compagno palestinese Georges Abdallah, contro cui ad aprile si terrà al tribunale di Trieste un processo per la storia della sua resistenza al regime sionista di Israele. Per una Palestina libera da Stati, padroni e da qualsiasi autorità.

Sempre per l’anarchia e la rivoluzione sociale!

Libertà per tutti e tutte!

Luca Dolce detto Stecco

VITERBO: DETENUTO MUORE IN OSPEDALE DOPO GIORNI DI SCIOPERO DELLA FAME

Un detenuto di 65 anni è morto all’ospedale Belcolle di Viterbo, dopo giorni di sciopero della fame.

L’uomo era stato ricoverato coattivamente presso il reparto di medicina protetta su disposizione del magistrato in seguito allo sciopero della fame che aveva intrapreso per protesta.

https://www.corrierediviterbo.it/cronaca/detenuto-65enne-muore-in-ospedale-dopo-giorni-di-sciopero-della-fame/

ANCONA: IL CARCERE UCCIDE

Un giovane di 25 anni si è tolto la vita nel carcere di Montacuto di Ancona. Nonostante avesse minacciato il suicidio e le sue fragilità fossero state segnalate dai familiari, l’isolamento è stata l’unica risposta. La madre del giovane solleva dubbi anche sulla dinamica del suicidio.

Link: https://www.radiondadurto.org/2024/01/08/carcere-matteo-concetti-e-il-primo-detenuto-suicida-del-2024-nel-2023-erano-stati-68-uno-ogni-5-giorni/

ROMA: UDIENZA DI CASSAZIONE PER JUAN [26 GENNAIO]

Da: Il Rovescio

Venerdì 26 gennaio alle ore 10, a Roma, si terrà l’udienza di Cassazione contro il nostro compagno Juan per l’attacco alla sede della Lega di Villorba (TV)

Ritirata già durante il dibattimento l’accusa di strage, la procura chiede alla Cassazione di riconoscere nuovamente la messa in pericolo della vita delle persone come era accaduto in primo grado. In appello l’attacco era stato considerato potenzialmente pericoloso per “l’incolumità” ma non per la vita delle persone, cosa che ha portato ad una sensibile riduzione della pena (da 28 anni a 14 anni e 10 mesi di carcere).

Solidarietà a Juan e a tutti i compagni e le compagne imprigionati! Tutti liberi, tutte libere!

BREVE AGGIORNAMENTO SU ZAC + TESTO

Riceviamo e diffondiamo un aggiornamento sulla situazione di Zac + un testo distribuito ad alcune iniziative.

Il tribunale di sorveglianza di Napoli, su richiesta firmata dal questore di Napoli Maurizio Agricola, ha disposto l’applicazione della sorveglianza speciale per Zac di due anni e sei mesi con le seguenti restrizioni: di non allontanarsi dall’abitazione senza preventivo avviso dell’autorità di sorveglianza, di non uscire prima delle 7 e non rientrare dopo le 20, di non associarsi “abitualmente” a persone condannate o preposte a misura di prevenzione o sicurezza, di non accedere a esercizi pubblici e di pubblico trattenimento, vivere onestamente rispettando le leggi, non detenere né portare armi, darsi alla ricerca di un lavoro, non partecipare a pubbliche riunioni, di portare sempre con sé la carta di permanenza, di presentarsi ogni domenica, o comunque a ogni invito, all’autorità preposta alla sorveglianza. A ciò si aggiunga una cauzione di 3000.00 euro da versare come garanzia, ma frazionabile in cinque comode rate.
È stato fatto ricorso. La misura sarà eseguita non appena Zac uscirà dal carcere, a prescindere dall’esito del processo per 280 bis e 270 quinques, che intanto continua con udienze calendarizzate per ora fino alla fine di febbraio (9 gennaio, 31 gennaio, 12 febbraio e 21 febbraio). Seguiranno aggiornamenti e riflessioni più approfondite.

Per scrivere a Zac:
Marco Marino
C.c. di Terni
Via delle Campore, 32
05100 Terni (TR)
Sorvegliati sempre, vigilati mai
ZAC LIBERO!


Di seguito il testo distribuito in alcune iniziative:

CONTRO LO STATO CHE REPRIME E FA LA GUERRA…  RADICALIZZARSI è NECESSARIO
Solidali con Zac, a tuttx lx prigionierx e oppressx della terra

“Radicalizzazione” nell’uso comune che ne è fatto dallo Stato, dalle scuole e dal diritto è un termine diventato ormai sinonimo di “follia”, “pericolosità”, “cieco fanatismo”, che il mondo dei media o della televisione rappresenta con persone urlanti, inneggianti un dio, in preda a delìri o a persone con lo sguardo vitreo che da dietro le sbarre idolatrano un capo o un’ideologia.
Ma il significato di radicale è tutt’altro, profondo come le radici di un albero avvinghiate ai bassifondi terreni. Radicalizzarci, che significa prima di tutto riuscire a farsi una coscienza più ampia sulle cose, è rimasto il nostro unico spiraglio, in un mondo che ci ha tolto tutto o quasi e di fronte a uno Stato che ormai ha il potere di dire tutto il contrario della realtà, come se nulla fosse.
Ad esempio, proprio mentre è in atto l’estremo apice della barbarie colonialista occidentale, con l’occupazione israeliana della Palestina e il genocidio del popolo palestinese, il ministro Piantedosi ha la faccia tosta di affermare serenamente su tutte le reti televisive che in questo momento è sotto attacco il diritto dello Stato di Israele a esistere e che l’Italia deve difendere questo diritto.
Ancora, in scala più piccola, mentre affama e devasta i territori del sud Italia, criminalizza i ragazzi di 14 anni dei quartieri che non vanno a scuola e fanno lavori illegali per contribuire al mantenimento delle famiglie. E infine, mentre si macchia delle peggiori stragi nel mare, nelle carceri, nelle guerre a cui prende parte, accusa di stragismo gli anarchici.

Repressione della coscienza, repressione su larga scala

Le ultime svolte repressive puntano sempre di più a prevenire la possibilità che ci si possa rendere coscienti delle cause e dei responsabili del proprio malessere; puntano a spaventare con pene esemplari o dissuasive chi, prendendo coscienza, agisce e lotta contro stato e padroni; puntano, infine, a rappresentare come un fanatico chi persevera nella sua ostilità allo stato delle cose.
Così, i contatti tra la popolazione reclusa (fatta perlopiù di proletari e migranti) e l’esterno viene impedita laddove portatrice di sostegno agli atti di ribellione, di pensiero critico e radicale, di informazioni. Infatti, se già prima ogni intervento al megafono, volantino o opuscolo era punito con istigazione a delinquere, ora con il nuovo pacchetto sicurezza vorrebbero introdurre uno specifico reato di rivolta per chi si ribella dentro le mura e il corrispettivo reato di istigazione alla rivolta per chi dall’esterno rivolge scritti ai detenuti. Così, fuori nella società, mentre nelle scuole e università si diffondono e finanziano progetti di “prevenzione alla radicalizzazione” tra gli studenti, tenuti da forze dell’ordine e magistrati manettari, così con il decreto Caivano per i giovani ragazzi dei quartieri e delle periferie, rappresentati come pericolosi nuclei di violenza organizzata in versione adolescente, la soluzione è il carcere o l’isolamento punitivo dentro casa .
Con i decreti in approvazione a fine anno, chi per necessità di un tetto sopra la testa, espulso da orde di turisti statunitensi o nordeuropei che conquistano il centro storico a botte di bnb e ‘rbnb, occupa un appartamento o una casa sarà più duramente punito, salvo che non decida di collaborare al momento dello sgombero, così da spegnere ogni forma di conflittualità e incentivare invece la logica collaborazionista. Per disoccupati e lavoratori che scendono in strada contro lo sfruttamento dei padroni e la mancanza di un salario sono previste pene più alte per i blocchi stradali.
Infine (si fa per dire!) chi continua a difendere le proprie pratiche e pensiero contro lo Stato è per forza terrorista, di cui l’equazione anarchico/radicale=terrorista non rappresenta che l’apice, in un sistema repressivo già molto avanzato per chiunque agisca secondo coscienza.

I soliti anarchici. A chi dovrebbero interessare le vicende di questi terroristi?

Se ci siamo accomodati sull’idea che tanto la repressione antimafia riguarda i “mafiosi” e quella antiterrorismo riguarda anarchici e jihadisti, siamo perduti per due ragioni.
La prima, è che vorrebbe dire che ci stiamo fidando dello stato e dei significati e delle etichette che dà a persone, pensieri e azioni, che la totale delega di noi stessi è compiuta.
La seconda è che se la repressione delle minoranze conflittuali non diventa interesse di tutti, lo Stato avrà sempre più gioco facile nell’estendere repressione a pratiche e realtà anche meno conflittuali, così come a ogni aspetto della vita di ciascuno, dal guadagnarsi il pane illegalmente al difendersi da uno sfratto e così via. E a chi pensa che il calcolo preventivo di come evitare la repressione possa servire a escluderla, forse la risposta è che questo sia utile soltanto all’arretramento delle lotte.
Guardandola più da vicino.
L’equazione anarchici/terroristi ha origini risalenti nel tempo, ma soltanto negli ultimi 3 anni post-pandemici si è arrivati per la prima volta nella storia a condannare degli anarchici per “strage politica” e associazione con finalità di terrorismo, a mettere il primo anarchico al 41bis, ad accusare per la prima volta un compagno di autoaddestramento, reato che fu introdotto dalla normativa contro il cosiddetto terrorismo islamico. Le inchieste antianarchiche si susseguono per ogni azione o parola espressa in solidarietà a prigionierx di tutto il mondo, il giudizio di essere socialmente pericolosx verso la popolazione tutta (nonostante a essere colpite siano personalità e strutture dello Stato con ben precise responsabilità) e la repressione a titolo preventivo, cioè prima che si sia materializzata una qualche azione offensiva, è oramai la normalità. Sulla base del “curriculum” militante, si incasella l’anarchico secondo un profilo più simile al boss mafioso o al kamikaze. Arriverà un punto, dove dire “anarchico” sarà sufficiente nella società ad affermare “pericoloso”, cosa che con la censura in atto alla stampa anarchica già si sta verificando.

Solidali con Zac sotto processo, contro le galere

A marzo di quest’anno arrestano il compagno anarchico Zac, mentre Alfredo era ancora in sciopero della fame contro ergastolo e 41bis. Lo accusano, con i reati di attentato con la finalità di terrorismo e autoaddestramento, di aver lanciato un ordigno fuori al consolato greco nel 2021, che il teorema accusatorio ricollegherebbe alla campagna di solidarietà con Dimitris Koufoundinas, prigioniero all’epoca in sciopero della fame nelle carceri greche. Visto che lo Stato ce ne dà l’occasione con questo processo, ricordiamo che lo sciopero della fame che Koufoundinas stava portando avanti nelle carceri greche era la sua lotta contro una riforma penitenziaria epocale in Grecia, che avrebbe istituito la massima sicurezza per i detenuti politici. E ricordiamo anche che questo avveniva mentre contemporaneamente lo stato greco istituiva la polizia dentro le università per reprimere dai suoi primi afflati, ogni cenno di ribellione, in una situazione di ampio fermento contro le riforme carcerarie ed educative, e nel contesto della repressione sociale e politica scaturita dal lockdown e le altre misure anti-pandemiche. L’anno successivo, la svolta epocale arriva in Italia, quando Alfredo è portato in 41bis, dove ancora oggi, più di un anno e mezzo dopo e pur dopo uno sciopero della fame con cui ha messo a repentaglio la sua vita, si trova rinchiuso. A Zac, viene contestato per la prima volta nella storia della repressione antianarchica il reato di autoaddestramento, all’art. 270-quinquies c.p. che si inserisce nel quadro normativo del decreto Pisanu nel 2005, poi modificato nel 2015, nella cornice della legislazione antiterrorismo cosiddetto islamico, introdotta all’indomani dell’11 settembre e dei successivi attentati di matrice islamica di Londra e Madrid. Questo reato doveva essere utile a colpire quelli che sono stati definiti semplicisticamente e opportunisticamente “lupi solitari”, chi si radicalizza da solo, ad avere insomma nuovi strumenti per colpire ogni “terrorista” senza ricorrere all’impianto associativo. Fino a questo momento, questa accusa è stata utilizzata solo nei confronti dei cosiddetti terroristi islamici, persone finite in cella per il solo fatto di aver scritto un post su facebook. Nei decreti sicurezza di prossima introduzione, si prevede l’inserimento del reato di “detenzione di materiale con finalità di terrorismo”: in parole povere, uno stesso materiale letto da una persona qualunque e letto da un anarchico, diventa reato nel secondo caso. Riuscirà willy il coyote (proprio il cartone animato) guardato da un anarchico, a sfuggire alla finalità di terrorismo?
Queste considerazioni non fanno che rafforzare quello già visto fino a qui con tutte le ultime operazioni, cioè che la principale ragione per processare e rinchiudere questo compagno è il fatto che sia anarchico; è la solidarietà ai detenuti che protestavano nelle galere nel 2020, mentre lo stato li massacrava compiendo una strage di 14 persone, e ad Alfredo, mentre portava avanti uno sciopero della fame durato oltre 6 mesi contro il 41bis. Se lo accusano di solidarietà con i prigionieri in lotta e contro i potenti del mondo, non possiamo che trovarci ancor di più al suo fianco.

OGNI CUORE É UNA BOMBA A OROLOGERIA

Estratti dal libro “Rote Zora. Guerriglia urbana femminista”  …e un augurio di buon anno nuovo, dalle Brughiere! 🔥🧨

OGNI CUORE É UNA BOMBA A OROLOGERIA

Da sempre le donne hanno combattuto nei gruppi armati, tuttavia la loro partecipazione alla lotta è stata spesso taciuta. Ma i tempi cambiano e, ormai, la partecipazione delle donne alla guerriglia è diventata talmente importante da non poter essere più occultata. Anche la divisione del lavoro secondo la quale le donne si occupano dei compiti relativi all’infrastruttura, mentre gli uomini portano a termine le azioni, è stata superata. I gruppi sovversivi di donne come le Rote Zora sono ancora pochi, ma anche questo cambierà! […]

Le donne sono esposte a ogni livello di violenza: alla violenza indiretta e strutturale di questo sistema sociale che blocca ogni altra possibilità di vita, e ai rapporti di violenza brutale, diretta e personale esercitati dagli uomini. Nel corso degli ultimi anni, abbiamo assistito all’aumento delle violenze contro le donne dei paesi dove la parità dei diritti è riconosciuta formalmente e giuridicamente. Le donne vivono la violenza quotidianamente, sotto forme diverse e su più livelli. Vengono umiliate, sminuite, picchiate, stuprate. Nella RFT ogni 15 minuti una donna viene stuprata! Il 50% delle donne vengono violentate da uomini che conoscono. Ogni anno nella RFT 4 milioni di donne sono maltrattate dai loro mariti! La violenza strutturale è determinata dai maltrattamenti delle donne in seno alla famiglia, dallo stupro, dalla minaccia di stupro e dalla spettacolarizzazione della violenza sulle donne nei media, nella pubblicità e nell’industria della cultura. Comprendere che la violenza contro le donne non è un’eccezione ma un principio generale del dominio maschile, ha permesso di riconoscere quanto la lotta alla violenza sessista vissuta personalmente sia indissociabile dalla lotta contro ogni violenza del sistema. […]

SOTTO L’IMPOTENZA SI NASCONDE LA VIGLIACCHERIA

Ogni donna che ha già tirato una pietra, che non è scappata quando degli uomini l’hanno importunata, ma al contrario ha risposto, potrà condividere il sentimento di liberazione che abbiamo provato quando abbiamo messo una bomba davanti al tribunale costituzionale federale in occasione della decisione relativa all’articolo 218. Nella nostra società la liberazione ha a che fare con la distruzione, distruzione delle strutture che vogliono incatenarci al ruolo di donna. Non riusciremo ad annientare queste strutture finchè non attaccheremo i rapporti che ci vogliono distruggere. Attacchiamoli nelle forme più diverse, ma sempre a partire dal nostro inconciliabile odio per questa società.

ORDIGNO ESPLOSIVO ALLA CORTE COSTITUZIONALE FEDERALE. 4 MARZO 1975, KARLSRUHE

Le Donne delle Cellule Rivoluzionarie hanno compiuto un attacco contro la Corte Costituzionale il 4 marzo 1975. Non per “difendere la Costituzione della Corte Costituzionale” come sostiene il signor Abendroth, ma per difendere noi stesse da questa Costituzione, che fornisce un quadro legale allo sfruttamento quotidiano, all’infiacchimento e al logoramento psichico di milioni di donne e uomini. Una Costituzione che costringe all’illegalità le donne, e molte le uccide quando non lasciano decidere alla mafia dei medici e dei giudici sulla propria sessualità, l’uso del proprio corpo, il numero dei propri figli. Noi non ci uniamo al lamento di coloro che si dolgono perché la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale una legge votata democraticamente dal Parlamento, in quanto non c’è una differenza sostanziale quando 6 o 600 stronzi dettano le condizioni di vita a 60 milioni di persone. Noi facciamo però distinzioni molto nette, nelle attuali condizioni, tra le leggi più o meno dannose nei confronti del popolo, che questo pugno di servi del capitale, pagati con i soldi delle tasse, emana contro di noi. La sentenza terroristica della Corte Costituzionale, che ribadisce essere giusto e legale il divieto di abortire secondo il famigerato “statuto liberal-democratico”, è così intollerabile, per il disprezzo e l’annientamento delle donne che presuppone, che noi la combatteremo con tutti i mezzi possibili. […]
L’articolo 218 non impedisce alcun aborto e questo lo sanno anche coloro che per il suo mantenimento tirano in ballo Dio e gli sbirri.

Lo sanno:
– I tribunali, per i quali da sempre l’assassinio di una donna che si ribella conta meno di quello di un porco oppressore. Siamo solidali con tutte le donne che si liberano dei loro oppressori.
– Le chiese, che nella loro millenaria storia hanno perpetuato la loro struttura fascista, secondo cui le donne non sono persone, ma madri o puttane, “santificate” o punite per la loro sessualità attraverso la gravidanza, poiché sanno bene che è la paura a riempire le loro chiese. Non abbiamo dimenticato che le chiese hanno messo al rogo le nostre sorelle femministe nel medioevo. Noi donne non dobbiamo più andare nelle chiese se non per sconsacrare questi covi di sessismo, per esempio attraverso scritte murali, slogan urlati in coro durante le funzioni, petardi e bombe fumogene… e per dare pubblicamente aria alle tonache ammuffite di preti e cardinali.
– i medici, che tengono per sé sia le loro conoscenze mediche che le loro mancate conoscenze per continuare il loro sfruttamento dell’utero. I quali umiliano e ricattano le donne in cerca di aiuto e anche se le aiutano usano per lo più il metodo pericoloso, sorpassato e brutale del raschiamento, rifiutando di imparare a praticare il sistema innocuo dell’aspirazione. Additiamo pubblicamente questi porci, scriviamolo sulle loro macchine, sulle loro ville. […]

Verrà il giorno in cui le donne si ribelleranno… ma solo se iniziamo oggi!

 


L’anno scorso… https://brughiere.noblogs.org/post/2022/12/29/estratti-dal-libro-di-mau-quelli-erano-i-tempi/