MILANO: SULLA SENTENZA PER IL CORTEO DELL’11 FEBBRAIO

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Il 17 giugno si è concluso il primo grado del processo per il corteo dell’11 febbraio 2023 in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo Cospito. Le condanne vanno da 1 anno e 6 mesi fino a 4 anni e 7 per resistenza aggravata, danneggiamento e travisamento.

Nelle settimane intorno a questa data la solidarietà con lə imputatə è stata forte, centinaia di persone hanno partecipato ai presidi fuori dal tribunale, al saluto al carcere di San Vittore e al corteo partito dalle colonne di San Lorenzo. Questi momenti di solidarietà hanno rappresentato un’occasione per parlare nuovamente di cosa sia il 41 bis, un luogo di tortura nel quale più di 700 persone sono rinchiuse ancora oggi, un sistema carcerario che non permette nessun tipo di contatto umano puntando ad annientare fisicamente e psicologicamente chi è detenut al suo interno. I limiti imposti dal 41 bis ad Alfredo e le altre persone recluse sono infiniti e arzigogolati; qualche settimana fa la corte di Cassazione ha accolto il ricorso di Dap e ministro della giustizia contro la decisione del tribunale di Sassari che aveva permesso ad Alfredo di tenere in cella farina e lievito.

A maggio la direzione carceraria di Bancali gli ha vietato l’acquisto di un vangelo apocrifo e alcuni libri di fisica e fantascienza perché considerati pericolosi. In ultimo gli avvocati di Alfredo sono stati recentemente segnalati dal direttore del Carcere all’ufficio di disciplina dell’ordine degli avvocati per averlo salutato a fine colloquio con una stretta di mano e due baci, segnalati per aver espresso empatia nei suoi confronti. Questo è il 41 bis, un regime carcerario che ha sempre controllato in maniera ossessiva anche il lavoro degli avvocati e il loro rapporto con i propri assistiti, utilizzando la legittimazione conferita dalla cosiddetta lotta alla mafia per creare un buco nero intorno alle persone lì rinchiuse.

Con la stessa ferocia con cui lo Stato aveva deciso di lasciar morire di fame Alfredo e poi di lasciarlo marcire tra le mura del 41 bis, si abbatte oggi la repressione su chi ha deciso di lottare contro questo ordinamento penitenziario ed esprimere solidarietà nei confronti del compagno e di tutte le persone detenute. Nel 2023, durante lo sciopero della fame di Alfredo, è stata portata avanti in Italia e non solo una grande mobilitazione che ha trovato espressione in molte forme, dagli appelli di avvocati fino all’azione diretta, passando per i numerosi cortei e appuntamenti in strada. Una mobilitazione che è riuscita a squarciare il silenzio e l’indifferenza che aleggiano intorno alla questione del 41 bis, da sempre relegata al mondo mafioso, legittimata dalla narrazione di forte criminalizzazione dei suoi appartenenti e mai messa in discussione. In quei mesi l’orrore del 41 bis, con le sue disposizioni volte ad annientare i detenuti, è venuto a galla insieme all’ostinazione dello Stato di continuare a torturare chi finisce in quel regime.

Ci troviamo oggi con diverse inchieste aperte in Italia riguardo quel periodo di lotta che prevedono accuse e condanne molto gravi: a Torino si sta svolgendo il processo per devastazione e saccheggio per i fatti del 4 marzo 2023, a Bologna si apriranno i processi per i due cortei del 21 dicembre 2022 e del 19 gennaio 2023, inoltre due anni fa è stata aperta un’inchiesta per 270 bis per l’incendio di alcuni ripetitori in opposizione alla guerra in Ucraina e all’imposizione del 41 bis ad Alfredo. Questi sono solo alcuni degli episodi repressivi che riguardano la lotta a fianco di Alfredo e contro il 41 bis.

Nello specifico a Milano le condanne esemplari ricevute il 17 giugno non sono solo l’espressione dell’accanimento di giudici e Stato contro una lotta che ha messo in discussione per alcuni mesi uno dei capisaldi del sistema carcerario italiano, ma anche l’espressione manifesta di anni di aggravamento dei reati di piazza, con continui aumenti di pene per i manifestanti e di maggiori tutele nei confronti delle forze dell’ordine. È lampante il tentativo di delegittimazione dei discorsi e delle pratiche politiche che vengono ridotte a mera questione di ordine pubblico, svuotate di ogni carica rivendicativa e di lotta e represse severamente grazie a un apparato giuridico sempre meglio affilato. Per alcun imputat al processoə milanese l’accusa è di concorso morale in resistenza aggravata: la presenza di queste persone alla manifestazione, e di conseguenza la volontà di portare solidarietà e supporto quel giorno, le ha rese responsabili e quindi perseguibili di quella resistenza che viene contestata in tribunale.

Questo ci fa intuire ancora una volta in che direzione si sta andando. L’obiettivo dello Stato è quello di pacificare ancora di più la società. Il dissenso resta esprimibile finché si parla la lingua della democrazia, finché azioni e concetti rientrano nell’intervallo di valori stabiliti democraticamente; intervallo che è sempre più rosicato dagli innumerevoli interventi legislativi e giudiziari che limitano la possibilità di mettere in campo i propri corpi e le proprie voci per lottare e diffondere l’idea che un mondo diverso sia possibile.

L’accanimento dello Stato nei confronti dei suoi nemici interni, chi lotta e chi rappresenta una minaccia per la sua sicurezza o semplicemente chi è di troppo non è certo niente di nuovo, ma possiamo affermare che l’inasprimento della repressione va di pari passo con il clima di guerra e la corsa al riarmo che i governi stanno portando avanti negli ultimi anni. Per garantirsi quanto più controllo possibile e non lasciare che all’interno dei propri confini la situazione sfugga di mano, da un lato lo Stato mette in campo misure repressive sempre più dure e dall’altro, per assicurarsi un ruolo accanto alle grandi potenze e nei conflitti che generano, firma patti di sicurezza accordando, per esempio, il 5% del PIL nazionale al riarmo e a politiche securitarie.

Per quanto riguarda il processo milanese il discorso non è ancora chiuso, si attendono le motivazioni che arriveranno a 90 giorni dalla sentenza e la fissazione dell’appello. Al di là delle condanne, è stato importante in quelle settimane trovarci in tantə in strada in solidarietà alle persone condannate e contro il 41 bis. Già alla prima assemblea pubblica chiamata a seguito delle richieste di pena della pm, c’è stata molta partecipazione, che non è mancata neanche fuori dal tribunale per i due presidi chiamati in occasione delle due udienze che hanno portato alla sentenza. Molte realtà di movimento si sono sentite di portare il proprio contributo solidale e in tante e tanti abbiamo raggiunto gli appuntamenti in strada per stare vicino alle
persone colpite e riaffermare che il 41bis è tortura. Ciò, oltre a scaldarci i cuori e far sentire meno solə lə compagnə condannatə, ci sembra essere il giusto modo per rispondere a un attacco repressivo.

Ed è così che ci piacerebbe venisse intesa la solidarietà. Laddove colpiscono gli individui rispondere che la lotta è di tuttə e che non si fermerà per delle condanne specifiche, laddove lo Stato ci vuole divisə tra buonə manifestantə e cattivə ribadire che le pratiche di lotta sono tutte valide e che, di fronte alla guerra globale che avanza, sono ancor più da difendere e rilanciare. Anche a Milano lo spazio che ci viene lasciato è esattamente quello che riusciamo a strappare alla controparte; ci sembra allora molto significativa l’unità avuta in strada durante queste due settimane in cui si aspettava la sentenza, presenza e unità che ci fanno apparire più forti agli occhi di chi ci persegue e infine ci giudica. Attenderemo le prossime fasi processuali, con la convinzione che chi lotta non è mai effettivamente solo e che la forza per ribaltare questa sentenza sta nelle mani di chi decide di usarla.

Un sentito grazie a chi ha scelto di esserci; a presto, ancora nelle strade.

Solidarietà a tutt i condannat, indagat e perquisit.
Fuoco alle galere e ai tribunali.

GALIPETTES MILANO