Riceviamo e diffondiamo
Nelle scorse settimane sono comparsi a Bologna dei manifesti di LUVV (Lega Uomini Vittime di Violenza), che riprendono la grafica dei manifesti inerenti alla violenza di genere che hanno tappazzato nei mesi scorsi tutta la città – manifesti che tra l’altro riproponevano vittimizzazione secondaria e davano spazio a stereotipi di genere, binarismo, disparità di potere e linguaggio violento.
Questi nuovi manifesti si appropiano delle parole del movimento transfemminista, denunciano presunte “violenze” agite contro gli uomini da parte delle donne, in particolare partner. Tra queste si parla dell’affido dellə figliə che, come il sistema patriarcale pretende, vengono affidatə alla cura delle madri. Questa “violenza”, però, non è altro che la conseguenza del modello di famiglia nucleare e patriarcale, strutturato su un rigido binarismo di genere con conseguenti ruoli ben prestabiliti.
Se da sempre le istituzioni, l’educazione e il sistema economico costruiscono un modello che vede la donna unicamente come madre, che deve concedere tutta la sua vita alla crescita e alla cura dellə figliə, che deve rinunciare alla sua persona per la famiglia, il padre invece, è colui che si occupa unicamente di procurare risorse economiche. Se da sempre è la madre a occuparsi della casa e dellə figlie, nel momento del divorzio i ruoli vengono stabilizzati, affidando la cura fisica, emotiva e psicologica alla madre e il mantenimento economico al padre. Sarebbero quindi le donne, ancora oggi troppo spesso costrette al lavoro riproduttivo, invisibilizzato e non pagato, ad agire violenza sugli uomini? In un paese come l’Italia, in cui oltre l’80% delle donne uccise trovano la morte in famiglia, quale sarebbe la violenza sistemica ai danni degli uomini da parte delle donne?
Come sempre si cerca di rappresentare la violenza strutturale su soggettività femminilizzate come una realtà di natura simmetrica: mentre donne, persone trans* e froc3 vengono ammazzate, stuprate, marginalizzate e cancellate ogni giorno, questi uomini costruiscono una narrazione di vittime sopra la violenza che loro stessi agiscono.
Come sempre quando viene chiesto loro di riconoscere il proprio privilegio, si nascondono dietro il tanto citato “non tutti gli uomini” con il solo scopo di smarcarsi da possibili accuse, di silenziare le violenze reali, di sentirsi meno in colpa per le violenze che agiscono al posto di prendersi realmente la propria fetta di responsabilità!
Le istituzioni legittimano una campagna distruttiva e di disinformazione, dando visibilità a narrazioni che possono fomentare solo odio e legittimare, ancora una volta, discorsi misogini e omolesbobitransfobici. Se la città ci vuole zitt3 e succubi, se la città ci impone la lettura di frasi violente, noi queste scritte le strappiamo, le bruciamo, le imbrattiamo. Prendiamo tutt3 parola con ogni mezzo possibile: strappiamoli, bruciamoli, imbrattiamoli tutt3 insieme, fino all’ultimo manifesto, fino all’ultima scritta. Riprendiamoci ogni muro, ogni manifesto, ogni discorso. Portiamo avanti la nostra rabbia senza aspettare che ci venga chiesto o che sia un’altra morte a smuovere le coscienze. Non c’è spazio per compromessi.
Siamo stanch3 di essere ammazzat3, siamo stanch3 della vittimizzazione secondaria a cui siamo destinat3 dopo essere mort3, siamo stanch3 delle coscienze che si ripuliscono partecipando a cortei e fiaccolate solo per dire “io ero lì, io non potrei mai farlo”. Ma noi sappiamo bene che sono i bravi ragazzi i primi a ucciderci.
Sappiamo bene che a ucciderci è la transfobia e la transmisoginia sistemica e diffusa, è l’odio riversato sul web, è l’indifferenza dei movimenti femministi che non pensano mai lontanamente di scendere in piazza quando muore una persona trans, razzializzata e/o sex worker.
Siamo arrabbiat3, siamo stanch3, siamo furios3.
Riprendiamoci tutto.