FORLÌ: LA STRAGE DI STATO E IL FILO NERO DELLA STORIA

Riceviamo e diffondiamo:

Giovedì 12 dicembre 2024
Al Circolo ARCI Asyoli, Corso Garibaldi 280, Forlì

LA STRAGE DI STATO E IL FILO NERO DELLA STORIA

Dalle 19.15
_ Buffet Vegan
_Esposizione mostra “Piazza Fontana, sappiamo chi è Stato”
_Proiezione di “La notte che Pinelli” e “Falsi miti su Piazza Fontana e la strategia della tensione”
_Dibattito


IL FILO NERO DELLA STORIA

Il 12 dicembre cade l’anniversario della Strage di Piazza Fontana a Milano (1969), che causò 17 morti e 88 feriti per lo scoppio di una bomba alla Banca dell’Agricoltura. Strage commessa dai fascisti, voluta e coperta dagli apparati statali, con la complicità dei servizi segreti e dei vertici militari N.A.T.O. Si inseriva nel contesto della “guerra fredda” tra blocco occidentale, di cui l’Italia faceva parte, e quello guidato dall’Unione Sovietica. L’Italia, infatti, al tempo era un’eccezione tra i paesi europei del mediterraneo. In Spagna, Portogallo e Grecia governavano dittature fasciste o militari, appoggiate da Stati Uniti e N.A.T.O. Anche in Italia il “partito del golpe” – ampi strati di politica, giornalismo, economia ed esercito – credeva che una dittatura di stampo fascista/militare avrebbe meglio compresso la conflittualità sociale, allora decisamente maggiore di oggi, evitando l’avvento di qualche forma di “comunismo”.
Si doveva atterrire l’opinione pubblica attribuendo le stragi agli anarchici, per dare avvio alla svolta autoritaria. Si è dato a questo disegno il nome di “strategia della tensione”.

Oggi il protagonismo dei gruppi neofascisti è nuovamente presente. Chi governa usa questa manovalanza per provocare e attaccare i movimenti. Inoltre nuove leggi come il DDL 1660, che il governo Meloni sta per approvare, andranno ad incidere pesantemente, con l’introduzione di 13 nuovi reati e diverse aggravanti (pensiamo al reato di “blocco stradale” o a quello di “rivolta carceraria” per chi, anche pacificamente, protesta nelle carceri e nei CPR). Siamo davanti ad una innegabile svolta repressiva, uno “Stato di polizia” la cui evidenza è data dall’art.20 di questo decreto, che autorizza gli sbirri a portare armi senza licenza anche fuori servizio. Se poi aggiungiamo la volontà del governo di far adottare all’Italia il presidenzialismo, vediamo che alcuni dei progetti dei golpisti di un tempo stanno trovando applicazione nel solco della democrazia formale.

Se durante gli anni della “strategia della tensione” da contrastare era una conflittualità sociale di massa che impensieriva e non poco il potere, oggi come si spiega questa “controrivoluzione preventiva” in assenza di agitazioni rivoluzionarie? Si spiega con le dinamiche mondiali, che vedono nuovamente schierarsi gli Stati in blocchi contrapposti. L’Italia è pienamente coinvolta nelle guerre che insanguinano il pianeta, con le armi fornite all’Ucraina e a Israele (per fare gli esempi più noti), con l’eventualità di entrare direttamente nei conflitti in corso. Questo genera politiche di tagli ai servizi e una continua dissipazione di fondi pubblici per fare la guerra. Lo Stato italiano teme che l’economia di guerra, generando povertà, possa far da volano a proteste sociali molto più forti di quelle che vediamo oggi. Ecco perché, preventivamente, ricorre ai fascisti e a norme ed assetti sempre più autoritari. Per farli accettare la tattica è sempre la solita: creare artificialmente il bisogno di “sicurezza” con la designazione dei nemici interni. Un’informazione controllata a dovere mostrifica a turno i “manifestanti violenti” che se la prendono coi “poveri poliziotti” (anche se sono questi ad usare il manganello), i sindacalisti che scioperano creando disagi al “paese che lavora”, i “clandestini” e i figli di immigrati (quando uno di loro – Ramy – viene ammazzato al Corvetto a Milano, per non essersi fermato all’alt dei carabinieri, il pensiero è “se lo è cercato!”), finendo ovviamente con gli anarchici “professionisti degli scontri”. La divisione del corpo sociale in buoni e cattivi serve a compattare sul fronte interno l’esercito dei buoni: una “nazionalizzazione delle masse” per rendere più agevole il compito del partito trasversale della guerra sul fronte esterno.

Vediamo un filo nero che lega la “strategia della tensione” di ieri e quella di oggi. Ed è preoccupante, ma emblematico, che il DDL 1660, all’art.23, conceda a funzionari ed agenti dei servizi segreti infiltrati nei movimenti l’impunità penale nel caso di “direzione ed organizzazione di associazioni terroristiche” nonché di “fabbricazione o detenzione di ordigni o di materiale con finalità di terrorismo”. Non lo abbiamo sempre detto? Terrorista è lo Stato!
Democrazia borghese e dittatura sono due facce della stessa medaglia!
Contro l’economia di guerra, la lotta e l’azione diretta sono nostre amiche!

Collettivo Samara – samara@inventati.org

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DA PIAZZA FONTANA A CORVETTO, LO STATO E I SUOI SGHERRI ASSASSINI!

C’è un orribile e sanguinario filo nero che lega la strage di stato di Piazza Fontana (12 dicembre 1969) all’assassinio causato dai carabinieri di Ramy Elgaml, ragazzo di 19 anni di Corvetto, Milano.
Questo filo nero è la mentalità che sta alla base della società che ci troviamo a subire: la mentalità dei padroni che si sentono onnipotenti e che decidono, letteralmente, della vita, della morte, della malattia, della carcerazione, della disperazione di milioni di individui, umani e non.
Se i padroni del 1969 infatti hanno armato i fascisti (tramite i servizi segreti che la sinistra chiama “deviati” ma semplicemente i servizi segreti fanno, sempre, ovunque, questo sporco infame lavoro) che hanno messo la bomba nell Banca dell’Agricoltura per seminare il panico tra la gente, i carabinieri, la polizia, le guardie carcerarie, gli assistenti sociali, i professori, i guardiani privati, seminano quotidianamente paura e violenza (certo a piccole dose rispetto alla bomba che fece 88 morti) per inculcare in tuttx noi, emarginatx o ribelli all’ordine costituito, i più devastanti dei virus: la rassegnazione e l’obbedienza.
E la mentalità dei padroni dell’epoca, e dei padroni di oggi, che poi sono sempre gli stessi (politici, industriali, grandi proprietari terrieri, banchieri, generali) è quella che ci mantiene costantemente sotto il tallone di ferro dell’autorità: all’epoca però, nei famigerati anni ‘60 e ‘70, grande parte della popolazione povera e ribelle rispondeva con fantasia, pistole, corpi, canti, cortei, occupazioni, scritti, molotov, oggi, aihnoi, ci pare che quella violenza e quella frustrazione che quotidianamente immagazziniamo, la rivolgiamo piuttosto contro noi stessx, ammalandoci, commiserandoci, disprezzandoci (perchè il mondo ci fa sentire inutili, sbagliatx) oppure contro i nostri fratelli e sorelle potenziali, ossia altrx emarginatx, altrx ragazzx arrabbiatx, altrx che stanno in strada tutto il giorno perchè in casa c’è la solitudine ma fuori comunque non c’è niente.

Quel filo nero che collega Piazza Fontana e la morte di Ramy sono le divise sguinzagliate dappertutto, impunite, che con il nuovo DDL1660 diventaranno ufficialmente (già lo sono nei fatti) dei cittadini di classe superiore a tuttx lx altrx: potranno girare armati anche non in servizio, per ogni processo lo stato, ossia le tasse di chi le paga, sborserà fino a 40mila euro (preventivi!) per difenderli e tutelarli e noi, poverx mortalx, se ci rifiutiamo di dare le generalità finiamo in processo penale senza contare le minacce, gli schiaffi, l’umiliazione.
Sì, forse non sono proprio tutti uguali, ma andatelo a dire a chi è stato torturato nella caserma di Piacenza o a Bolzaneto (Genova 2001) chi al carcere di Santa Maria Capua Vetere o di Reggio Emilia (solo per citare casi “famosi”) andatelo a dire alle ragazze stuprate dai militari a Firenze e a l’Aquila, andatelo a dire a Ramy, che potevamo essere noi, ognunx di noi.
Andate a dire che i padroni non esistono più e che la legge è uguale per tutti ax detenutx nelle carceri italiane (e di tutto il mondo), ax prigionierx nei CPR e negli istitui minorili, che hanno come alternative di fronte a sè o gli psicofarmaci del vitto ministeriale (e diventare zombi) oppure l’evasione o la rivolta…e quando ci provano gli sparano addosso e dicono che erano tutti tossici strafatti di metadone (vi ricordate le rivolte che hanno inaugurato l’incubo securitario della “gestione COVID” nel 2020? Noi sì.)
E se in carcere non hai nel cuore la fuga o la rivolta resta solo il lenzuolo stretto al collo e già, in Italia, se ne sono ammazzatx 77 di detenutx.
E tutto quello che politici ed “esperti” (qualunque cosa significhi) sanno fare è istituire altri reati per i quali altrx emarginatx, altrx poverx, altrx ribelli finiranno dietro le sbarre a popolare questi inferni dimenticati.
E più ci ammazzano, più ci incarcerano, più ci arrestano, più ci terrorizzano, più si lamentano che siamo cattivi, delinquenti, violenti e se a Corvetto lx amicx di Ramy hanno tirato pietre e incendiato qualche cassonetto pare che sia la guerriglia urbana! Ma magari!! Cosa contano oggetti e strade bloccate di fronte ad una vita stroncata? Come si può mettere sullo stesso piano un ragazzino ammazzato da un carabinieri per odio securitario e un autobus coi vetri rotti per rabbia?!

La mentalità dei padroni è una mentalità intrinsecamente stragista: le persone affogate nel Mediterraneo, alle frontiere di montagna, sui posti di lavoro o in strada, durante un “normale controllo di polizia”, sono lì a testimoniarlo.
È la mentalità, portata alle sue estreme logiche conseguenze, che lo stato sionista sta applicando in Palestina e in Libano: sterminare, fisicamente, chi è di troppo, chi si frappone fra il potere e i suoi obiettivi.
E proprio la questione palestinese sbatte in faccia a qualsiasi sincerx democraticx quanto la legge, le regole, i trattati vengano chimati in casua solo ed esclusivamente quando fa comodo a chi li ha stipulati: lo stato sionista, sostentuo, finanziato, armato da USA e Unione Europea può commettere un genocidio in diretta TV e nessuno muove un dito. Se lx studentx manifestano in piazza contro il genocidio, pacificx e coloratx, gli sbirri li manganellano e li denunciano. Ecco cos’è la legge: il ghigno schifoso e maledetto dell’autorità che dopo averti derubato, pestato, incarcerato ti presenta pure il conto.
Questo era vero nel 1969 ed è vero anche oggi, la sostanziale differenza per chi scrive è che cinquant’anni fa tanta parte della popolazioni (in Italia e nel mondo) lottava per stroncare questo stato di cose, mentre ora (di certo in italia, forse anche altrove) la mentalità dei padroni è stata assunta dallx sfruttatx come se avessimo le stesse garanzia e le stesse priorità: no, non siamo sulla stessa barca, chi ha privilegi è nemico di chi non li ha, e sarebbe opportuno che fosse vero, nei fatti, anche il contrario!

La memoria di ciò che è accaduto, di quanto lo stato italiano abbia sempre mantenuto la “pace” con le bombe (Piazza Fontana, Italicus, Stazione di Bologna, Piazza della Loggia) ci fa restare lucidx e non fidarci delle carogne che ci promettono che questo è “il migliore dei mondi possibili”: ce ne sono altre di possibilità, infinite, quanto infinito è il desiderio di creare un modo altro di vivere. Desiderare ardentemente questi sogni e poi armare la fantasia per concretizzarli!

12 DICEMBRE 1969: IL MANDANTE È LO STATO GLI ESECUTORI I FASCISTI!

VERITÀ E VENDETTA PER RAMY E PER TUTTX LX ALTRX AMMAZZATX DAI TUTORI DELL’ORDINE!

QUEST’ULTIMA GOCCIA NON FA TRABOCCARE IL VASO. RIFLESSIONI SULLA SICCITÀ A MESSINA E IN SICILIA, TRA SVENDITA DELLE INFRASTRUTTURE IDRICHE E “GRANDI OPERE”

Riceviamo e diffondiamo

Quest’ultima goccia non fa traboccare il vaso di acqua ma, per l’ennesima volta, rende piena d’incertezze e lascia a sé stessa una cittadinanza sempre più delusa.
Non vi sono zone della città che non siano in qualche modo colpite dalla mancanza di erogazione idrica nelle abitazioni. Intere palazzine a secco da giorni, alcune superano la settimana. Segnalazioni arrivano da ogni angolo, da Punta Faro sino a Larderia, ove si possono constatare variegate situazioni di disagio. Probabilmente la suddivisione in aree di gestione dell’emergenza voleva suggerire una localizzazione del problema, facendo trapelare il totale essere sotto controllo della mancanza d’acqua. Ma la realtà suggerisce un quadro molto più ampio e fosco. Il piano d’emergenza emesso dall’AMAM fa “acqua” da tutte le parti, triste metafora in questo momento. In fin dei conti sembra solo aver riempito le strade di autobotti che invadono la città, affannandosi, nel travasare qualche metro cubo di acqua nei vari serbatoi dei condomini in giro per l’area urbana di Messina. Ad essere messa in discussione non è qui la buona volontà di operatori ed operatrici che cercano di districarsi, anche loro come vittime, in questa massa piena di disagio e sentimento di abbandono; piuttosto, la riflessione dovrebbe superare la mera ricerca delle inefficienze quotidiane nella c.d. gestione della crisi e non incagliarsi nei tecnicismi infrastrutturali di condutture, inclinazioni e vari livelli di pressione.

Se la frammentazione in aree della città afflitte dalla crisi idrica può dare un’idea di localizzazione del problema, seguendo le segnalazioni dei cittadini e delle cittadine ci rende presto conto che la mappa dell’emergenza attraversa, se non tutto, un’ingente parte dell’urbanizzato messinese. La gente ha potuto fare affidamento su qualche autobotte o sul proprio ingegno e possibilità organizzativa (in termini soprattutto economici). Ed in questo quadro di essiccamento colposo le beffe non sono affatto poche:

In primo luogo, la privatizzazione dell’infrastruttura idrica, ossia laddove non è possibile impossessarsi dell’acqua, si sono svenduti i rubinetti. Qui subentra ATI, ossia Assemblea Territoriale Idrica, ente pubblico cui compito è la gestione delle varie infrastrutture idriche territoriali, subentrata ad EAS (Ente Acquedotti Siciliani) commissariato da ormai parecchio tempo. Per quanto riguarda la conduttura del messinese, ATI sembrava intenzionata, in un primo momento, a determinare una gestione a carattere totalmente pubblico. Nel giro però di pochi mesi da questo tipo di delibere (nn. 10,16,28 del 22), cambia tutto, e dall’ente si decide di cercare invece un partner privato che co-gestirà l’infrastruttura idrica detenendone il 49% della proprietà. Nel frattempo, alcuni “commissari ad acta” della Regione Sicilia determinano il compimento dell’iter burocratico per dare vita alla Messinacque S.p.a., società cui destino, aiutato dalle continue proroghe di ATI sul bando di ricerca del partner privato per la gestione dell’apparato idrico messinese, sembra voler riservare quel 49 % menzionato sopra. L’ultima proroga portava la scadenza al 10 luglio 2024, data oltre la quale non sembrerebbe esserci stata alcun’altra proroga per il bando; si può presupporre che Messinacque S.p.a. si sia adesso presentata ad accaparrarsi la “conduttura promessa”.

Le conseguenze di questo passaggio di questa grande fetta di proprietà dell’infrastruttura idrica avranno ripercussioni già immaginabili, prima fra tutte il levitare del costo dell’acqua stessa; beffa oltre il danno in tempi di crisi totale ed assenza di acqua corrente. -Ci chiediamo quale ruolo abbiano Comune ed AMAM in questo furto bello e buono. Ci chiediamo se il ricorso al TAR dei Comuni, rigettato recentemente, sia bastevole nel garantire a noi tutti e tutte un dignitoso accesso a questo bene primario.

Già solo questo basterebbe a farci accapponare la pelle, ma le controversie non finiscono qui; prime fra tutte l’incombere della cantierizzazione della città tutta per far spazio al mostro ponte.

Che con la stessa prepotenza di chi ce lo impone farà breccia nelle nostre esistenze, determinando uno scossone senza precedenti nelle nostre quotidianità. La domanda sorge spontanea: “ma forse sarà che l’acqua la vogliono portare con il ponte?!” Mentre Webuild, (la stessa azienda incaricata di costruire il ponte sullo Stretto) tiene sotto scacco l’intera area dei villaggi della zona sud fino a Fiumefreddo, Messina resta a secco. Allo stesso tempo, interi pozzi d’acqua sembrerebbero essere dati in totale monopolio ai cantieri. Le loro talpe, scavatrici di tunnel della devastazione, l’acqua per funzionare la trovano sempre; quella per impastare il cemento, sigillo sulla natura, la trovano sempre. Il loro impianto di betonaggio, a Savoca, è sempre in funzione. Assumendo furbamente le sembianze di progresso, il raddoppiamento ferroviario che interessa il messinese ha assunto tutte le caratteristiche che si prospettano per i futuri cantieri del ponte, mentre i mezzi pesanti transitano ormai da mesi nelle aree abitate di Roccalumera, Nizza, Savoca, Sant’Alessio, rendendole invivibili per gli abitanti stessi.

La prepotenza dei portatori d’interesse che, in barba ai dubbi sollevati dalle varie giunte comunali, sembrano procedere a spron battuto, senza troppo badare alle preoccupazioni di chi quei luoghi li abita.

Reputiamo non più sopportabile accettare questa svendita a trecentosessanta gradi delle nostre esistenze. Siamo continuamente sotto il ricatto di chi questi luoghi li vede solo come cave di denaro, continuamente sottoposti e sottoposte ad uno stato emergenziale che riduce sempre più le nostre esistenze ad una mera gestione tecnico-amministrativa. La Provincia assiste già alle prime frane; a sempre più persone manca l’acqua in casa; ancora e sempre più su tutti noi pende la spada di Damocle della cementificazione totale, della svendita delle nostre vite tutte ai signori del cemento e della digitalizzazione. Diventerà il loro hub logistico, per le loro merci, per i loro capitali, ma la Vita, in questi luoghi, sembra essere sempre meno benvenuta.

Riappropriamoci della nostra storia, del nostro territorio, delle nostre vite.
Creiamo insieme gli spazi che sogniamo.

PDF VOLANTINO: Quest’ultima_goccia_non_fa_traboccare_il_vaso

PISA: BASTA USO DEL TAPPETO CONTENITIVO! PRESIDIO DI SOLIDARIETÀ ALLE VITTIME DEI MALTRATTAMENTI ALLA STELLA MARIS

Riceviamo e diffondiamo

Martedì 10 dicembre ore 10:30 appuntamento al Tribunale di Pisa per una nuova udienza sui maltrattamenti nella struttura di Montalto di Fauglia destinata a ospitare persone autistiche, gestita dalla Fondazione STELLA MARIS. In questa udienza dovrebbero essere ascoltati altri testimoni della difesa.

Nell’estate del 2016, in seguito alla denuncia dei genitori di un giovane, la struttura è stata posta sotto controllo con l’installazione di microcamere e, dopo tre mesi di intercettazioni, la Procura di Pisa ha configurato l’ipotesi di reato per maltrattamenti. Tra gli ospiti Mattia, morto nel 2018 per soffocamento, dovuto probabilmente al prolungato ed eccessivo uso di psicofarmaci. I continui cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi al momento dei pasti di cui la famiglia afferma di non essere mai stata informata. Per questa vicenda vi è un altro procedimento penale, il processo in primo grado si è chiuso con nessuna responsabilità da parte dei medici e della struttura. È iniziato il processo d’Appello presso il Tribunale di Firenze, rinviato addirittura a novembre 2025.

Il processo per maltrattamenti va avanti lentamente da oltre 6 anni: le udienze sono diradate considerando l’elevato numero di testimoni. Si tratta del più grande processo sulla disabilità in Italia. Nel periodo della pandemia è stato ospitato nel Palazzo dei Congressi di Pisa.
Gli imputati sono 15, di cui due dottoresse che gestivano la struttura e il Direttore Sanitario della Stella Maris. Due imputati sono usciti di scena: un operatore che ha patteggiato la pena e il Direttore generale che, dopo il rito abbreviato, è stato condannato a 2 anni e 8 mesi, poi assolto nel processo d’Appello.
I genitori, i tutori e altri testimoni ascoltati hanno riportato le violenze subite dai ragazzi di Montalto e documentate dalle videoregistrazioni che testimoniano gli oltre 280 episodi di violenza in meno di 4 mesi; violenza non episodica ma strutturale. Nell’ultima udienza una delle dottoresse ha dichiarato che a Montalto di Fauglia venivano usati, in caso di crisi, i “tappeti contenitivi” dove il paziente veniva immobilizzato, contenuto e arrotolato.

Come riporta la relazione del consulente tecnico, professor Alfredo Verde: “Leggendo gli atti del presente procedimento abbiamo rinvenuto sicuramente la menzione di una lunga tradizione di abuso e violenza da parte degli operatori, radicata negli anni, e in parte tollerata, in parte ignorata della direzione delle strutture”. E ancora: “In queste situazioni si sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la sopraffazione divengono strumenti usati ogni giorno, e l’istituzione perde le sue caratteristiche terapeutiche per divenire un luogo meramente coercitivo e afflittivo. Il comportamento degli operatori è apparso tipico delle istituzioni totali”.

Per questi motivi e per ricordare le vittime degli abusi psichiatrici che ancora vengono perpetrati ai danni di persone private della libertà personale non in grado di difendersi da sole, è un dovere seguire le vicende del processo nell’interesse di tutte/i.
Partecipiamo al PRESIDIO in SOLIDARIETÀ alle VITTIME
MARTEDÌ 10 DICEMBRE ore 10.30 c/o il Tribunale di Pisa, Piazza della Repubblica

per info:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa 3357002669
antipsichiatriapisa@inventati.org
artaudpisa.noblogs.org