CITTÀ DEVASTANTI, BISOGNI SACCHEGGIATI. LA NOSTRA RABBIA NON SI FERMA

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Dall’ottobre 2022 all’aprile dell’anno successivo, un’inaspettata mobilitazione solidale ha accompagnato lo sciopero della fame di Alfredo Cospito, anarchico prigioniero in 41-bis.
Iniziative, manifestazioni, azioni dirette hanno segnato in Italia e in molte altre parti del globo i passi di un movimento eterogeneo che è cresciuto nel dare forza alla protesta di Alfredo: una protesta che ha rivendicato sì la fine del regime detentivo del 41-bis per il nostro compagno, ma anche l’abolizione di questo dispositivo di tortura legalizzata e dell’ergastolo ostativo, il “fine pena mai”, con cui lo Stato italiano condanna quasi 1300 detenuti a morire in galera.

Uno Stato “democraticamente” guerrafondaio, tutto manette, sbarre e inasprimento di leggi e condanne, ovviamente non si è fatto nessun problema a ignorare, e talvolta a mistificare, quella lotta che metteva in evidenza il suo vero volto da torturatore e certamente non avrebbe ceduto se Alfredo, dopo 6 mesi di sciopero, non avesse interrotto la sua iniziativa. Ma gli obiettivi della protesta e della mobilitazione rimangono sul tavolo delle cause per cui vale la pena lottare.
Ovviamente quello stesso Stato, che probabilmente avrebbe lasciato crepare di fame il nostro compagno, non ha tardato a presentare il conto con inchieste e processi dove si è propagata la mobilitazione di quei mesi.

A Torino, questa controffensiva dello Stato si sta manifestando principalmente per mezzo della cosiddetta “operazione City” che ha propinato un buon numero di misure cautelari e ora si appresta ad aprire un primo “troncone” processuale con l’udienza preliminare del prossimo 17 settembre.
I fatti sotto inchiesta sono quelli accaduti in occasione del corteo internazionale avvenuto a Torino il 4 Marzo 2023, quando Alfredo stava portando avanti da quasi cinque mesi uno sciopero della fame con un inevitabile aggravamento delle sue condizioni fisiche.
I disordini e i danneggiamenti che hanno segnato un tratto del corteo vengono classificati nell’imputazione di “concorso” in “devastazione e saccheggio”, un’iperbole quest’ultima piuttosto roboante trattandosi del reato più grave contestabile in ambito di ordine pubblico, che prevede pene indiscutibilmente elevate.
Per quel che concerne il concorso si noti che in questa inchiesta quasi tutti i destinatari delle misure cautelari non sono accusati di reati specifici ma di aver in qualche modo organizzato il corteo in stile “paramilitare” e di aver “supportato” i danneggiamenti.
La chiamata in causa del “concorso” svela la finalità politica per cui viene utilizzato: spaventare e dissuadere dal manifestare perché la punizione potrà colpire chiunque decida di scendere in strada.
Per questo, il concorso va combattuto nella prospettiva di non cedere spazio alla criminalizzazione e alla smobilitazione della conflittualità di piazza, immancabile tassello in qualsiasi percorso di critica reale agli ordini politici ed economici.

Per quanto ci riguarda, le pratiche messe in atto durante quel corteo, altro non sono che la risposta alla violenza che lo Stato ha voluto per l’ennesima volta dimostrare contro i propri nemici, in un momento in cui era chiara la volontà di annientamento psico-fisico del nostro compagno. Come d’altronde riteniamo fondamentale l’autodifesa dei cortei per tutelare l’incolumità del corteo stesso e rendere più difficile l’identificazione dei manifestanti.
Si tratta di pratiche che appartengono al patrimonio di ogni movimento che si voglia porre in modo conflittuale rispetto allo Stato, pratiche che sempre di più vengono messe alla gogna, criminalizzate e spogliate dal loro significato politico per ridurre la presenza nelle strade a un problema di ordine pubblico.

Le nostre considerazioni rispetto al corteo del 4 Marzo sono poche ma immutabili: l’importanza di esserci stati in quel momento specifico e cruciale della mobilitazione, l’espressione della rabbia per una condanna a morte già scritta, l’affetto e la riconoscenza verso un compagno che ha messo in gioco la sua vita per combattere un mondo di sfruttamento e di prevaricazione autoritaria.

Oggi come ieri al fianco di Alfredo, contro il 41-bis e l’ergastolo ostativo, contro tutte le galere e tutti gli Stati. Alla repressione si risponde con la lotta!

Cassa AntiRepressione delle Alpi occidentali