“CHI SPUTA SULLA CAUSA”? – SULLA VIOLENZA MASCHILE NEI MOVIMENTI… DI NUOVO

Riceviamo e diffondiamo:

“CHI SPUTA SULLA CAUSA”? – SULLA VIOLENZA MASCHILE NEI MOVIMENTI…DI NUOVO

Prendiamo parola per denunciare gli ennesimi episodi di violenza agiti all’interno di spazi di movimento.

Mentre la zona universitaria e le piazze di Bologna vengono invase da una forte ondata di lotte di solidarietà, succede – ed è successo di nuovo – che negli ambienti che attraversiamo vengano agite e poi coperte le violenze subite da compagne, che rimangono inascoltate e per di più emarginate.

Nei cosiddetti spazi di intersezionalità politica che in questi mesi ci hanno unite nella lotta della diaspora palestinese, alcuni dei gruppi della nostra città che partecipano alla mobilitazione riproducono, nascondono e normalizzano violenza maschile e molestie nei loro spazi e nelle loro assemblee, mettendo a tacere e allontanando le compagne che hanno provato a denunciare questi fatti.

Siamo furios3 e stuf3 di sentir parlare degli ennesimi maschi violenti che si decostruiscono in poco tempo e che continuano ad attraversare i nostri spazi nella più totale sicurezza, forti del proprio potere patriarcale.

Siamo furios3 e stuf3 di sentirci dire che I PANNI SPORCHI SI LAVANO IN FAMIGLIA.

Siamo furios3 e stuf3 di essere private di spazi che dovrebbero essere di liberazione e che invece diventano luoghi di oppressione.

Sappiamo bene che chi parla di giustizia trasformativa usando in maniera impropria e superficiale gli strumenti che ci siamo date per difenderci e contrattaccare la violenza maschile, li priva del loro portato politico e del fine per cui sono stati pensati.

La giustizia trasformativa, se non vuole essere una retorica vuota e strumentale, va agita fuori dagli spazi dove si sono perpetrate le violenze, spazi che vengono condivisi e attraversati da chi quelle violenze le ha subite e le subisce.

“Ascoltare tutte le voci” e “ascoltare entrambe le versioni” sono due mantra che ci vengono costantemente ripetuti, dando per scontato che sia la compagna che denuncia la violenza a mentire. Le fanno credere che in fondo è esagerata, che in fondo è colpa sua, perché ha avuto comportamenti promiscui, che in fondo “se l’è cercata”.

Non siamo più disposte a  tollerare violenza psicologica e manipolazione emotiva delegittimante!
Lo diciamo senza se e senza ma: SORELLE, NOI VI CREDIAMO!

Le collettività miste che si nascondono dietro al linguaggio dell’intersezionalità delle lotte, svuotandolo del loro significato rivoluzionario, sono le prime a riprodurre la cultura dello stupro. La violenza di genere non è mai una priorità nei movimenti, vige sempre una gerarchia di lotte: con questa scusa la violenza maschile viene invisibilizzata e le compagne che ne parlano isolate. Ci si preoccupa della reputazione sociale dell’uomo violento, della sua fragilità che ogni tanto lo fa “cadere in errore”, del suo benessere psichico, facendo ricadere sulla compagna che denuncia non solo la violenza subita e le sue conseguenze psicologiche ma anche il peso del doversi preoccupare per l’incolumità e la serenità dell’uomo violento. Dopo aver subito, ci ritroviamo anche a doverci fare carico della cura del violento e del suo fantomatico “percorso”.

Chi dice che dobbiamo reprimere i nostri desideri e piaceri perché “pericolosi”, che siamo noi a dover stare attente e non “provocare”, riproduce la morale sociale che vede i nostri corpi inseriti nella dicotomia violenta di puttana/buona vittima (o buona militante!).

La buona vittima, come la buona militante, deve essere moralmente ineccepibile. È colei che non mette al centro il suo corpo femminilizzato “provocatore”, che potrebbe distrarre i bravi compagni, non espone il movimento al rischio della sua frammentazione e non chiede con troppa insistenza di attuare pratiche transfemministe.

E se la nostra sessualità e ogni nostro singolo gesto vengono usati per gettare addosso a noi un’ulteriore violenza e vittimizzazione secondaria, condita di slutshaming e victimblaiming, lo urliamo con forza: Siamo tutte puttane.

Puttane, esagerate, deviate, pazze e guastafeste: siamo pronte a essere l’imprevisto che non avevate considerato, mentre reggiamo, troppo silentemente, il peso di fare politica in queste comunità terribili che la cultura degli uomini si ostina a costruire.

Se di fatto DIVENTIAMO MERITEVOLI DI SOLIDARIETÀ SOLO DA MORTE AMMAZZATE – quando possiamo rappresentare le martiri dell’ennesimo uomo di merda – noi gridiamo che della vostra solidarietà non ce ne facciamo niente.

Ed è vizioso chi suggerisce che denunciare pubblicamente dei fatti gravi di violenza reiterata, individuali e collettivi, significhi tradire la causa.

Noi stiamo incondizionatamente dalla parte della Palestina e della sua resistenza. Non accettiamo che si infici la potenza delle piazze decoloniali per comportamenti omertosi riguardo ad abuser.

Il ricatto dello “sputare sulla causa” ogni qual volta si faccia emergere una violenza nel movimento è soltanto una scusa per ripulire la facciata politica di quest’ultimo. Non accettiamo che per proteggere uomini violenti si strumentalizzino le lotte in cui investiamo anima e corpo. Chi indebolisce le lotte sono proprio coloro che insabbiano la violenza dei maschi, riaccogliendoli a braccia aperte poco tempo dopo l’ultimo abuso. Quando rivediamo i violentatori alla testa del corteo, forti di una larga agibilità politica, risulta palese quanto siano fragili e superficiali i percorsi politici transfemministi di cui tante realtà si fanno forza.

Condanniamo con decisione questo modo di costruire la comunità politica come “famiglia”, riproponendo in svariate dinamiche il nucleo eteropatriarcale e le sue ideologie repressive. Prima fra tutte è l’omertà: ogni qual volta emerga una violenza di genere, si chiede di tenerla esclusivamente all’interno del proprio gruppo politico. A violenza si aggiunge violenza: non solo subiamo, ma dovremmo anche stare zitte, rimanere sole, senza la possibilità di creare reti di sorellanza femminista.

Lo diciamo chiaro e tondo: a sputare sulla causa non sono le persone che subiscono violenza o prendono parola per questo, ma i maschi violenti che la agiscono, insieme alla collettività che li protegge. Se per la comunità diventa più importante proteggere il proprio sedicente compagno nel suo agire violenza, allora stiamo reiterando gli stessi meccanismi patriarcali che diciamo di voler abbattere.

Sappiamo che questi uomini hanno agito violenze più volte e su più persone. Sappiamo che la comunità politica afferente ne era largamente informata. Sappiamo che la decisione di insabbiare queste violenze e allontanare invece chi le ha subite è stata totalmente deliberata.

Dove non c’è responsabilità collettiva c’è violenza di gruppo. 
Una violenza di gruppo che riproduce perfettamente le dinamiche di potere e le gerarchie sociali che diciamo di combattere e da cui ci sentiamo esenti, una violenza di gruppo di cui non ci libereremo mai se si continuano a nascondere le cose sotto al tappeto pur di non mettere in discussione noi stess3 e la nostra collettività e di mantenere limpida e immacolata la sua “reputazione”.

Le compagne sanno e dopo queste ennesime violenze non lasceremo gli spazi politici a stupratori e picchiatori: vogliamo tutto un altro genere di comunità politiche, tutto un altro genere di lotte.

Non staremo zitte e non ci faremo da parte.
Per la Palestina libera, per le lotte decoloniali, per donne, froc3 e trans liber3.

CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE
LA MIGLIOR DIFESA E’ L’ATTACCO!

Gatte randagie complici e solidali