Un volantino distribuito a Bologna alla street del 17 dicembre contro il decreto antirave “SMASH REPRESSION”
Nel decreto antirave sono state inserite misure che aggirano le indicazioni della corte costituzionale sull’ergastolo ostativo e le condizioni ostative, rendendo ancora più difficile la concessione dei benefici penitenziari per quei reclusi che non collaborano con la giustizia.
Nell’aprile 2021 la corte ha infatti dichiarato incostituzionale il tipo di regime penitenziario previsto dall’art. 4 bis che esclude dall’applicabilità dei benefici penitenziari gli autori di alcuni reati tranne in caso di collaborazione con la giustizia. Il decreto legge del governo Meloni del 31 ottobre stabilisce che non sia però la collaborazione del detenuto l’unico strumento per accedere ai benefici di legge, per usufruirne, il detenuto dovrà dimostrare di aver aderito a specifiche condizioni e obblighi, civili e di riparazione pecuniaria, o «dimostrare l’assoluta impossibilità di tali adempimenti». Queste condizioni risultano però una trappola in quanto quasi impossibili da dimostrare, per cui di fatto l’operazione non fa altro che aggirare le indicazioni di incostituzionalità, riconfermando l’ergastolo ostativo e riconsolidando le condizioni ostative.
Stato e padroni stanno difendendo un dispositivo in cui la collaborazione diventa l’unico modo per recuperare la libertà. Questo non può che riguardarci tutte e tutti. Il “fine pena mai” dell’ergastolo ostativo si traduce in una morte a vita.
Dal fenomeno della criminalità organizzata che lo Stato finge di combattere, è stato istituito ed esteso un regime penitenziario differenziato volto a costringere alla collaborazione una variegata serie di condannati eterogenei, accomunati da una presunzione di pericolosità. Una presunzione assoluta, perché non superabile da altro se non dalla collaborazione stessa che esclude il prigioniero/a “in radice”, dall’accesso ai benefici penitenziari. L’immediata equivalenza tra l’assenza di collaborazione e la presunzione inconfutabile di pericolosità sociale, non permette di tenere conto di altri fattori che potrebbero condizionare e permettere altre valutazioni.
E’ anche bene ribadire che l’ordinamento penitenziario prevede già un dispositivo per costringere alla collaborazione, il 41-bis, ed oggi siamo qui anche contro questo regime di tortura.
Il 41 bis serve per isolare completamente il detenuto dall’esterno, l’unico modo per uscirne è quello di pentirsi e collaborare. Si tratta di un regime di annientamento e tortura studiato per provocare danni fisici e mentali tramite la tecnica della deprivazione sensoriale e per indurre sofferenza allo scopo di estorcere confessioni o dichiarazioni. Una condanna alla morte politica e sociale volta a recidere ogni forma di contatto con l’esterno e ad annullare la personalità del recluso.
Le prigioni sono lo strumento che Stato e padroni usano per mantenere l’ordine attuale, fatto di sfruttati e sfruttatori. Una guerra a bassa intensità affinché il processo di accumulazione capitalista proceda senza soluzioni di continuità, che mira a spostare il limite di tolleranza delle sfruttate e degli sfruttati, sempre un po’ più in là. Quando qualcuno prova a rompere questo monopolio, restituendo un’infinitesimale parte della violenza statale, viene duramente represso come avvenuto dopo le rivolte del marzo 2020.
È lo stesso Stato che sta tombando nelle patrie galere Alfredo Cospito, compagno anarchico recluso in 41-bis dal 5 maggio 2022 con un decreto firmato dall’allora ministra della giustizia Marta Cartabia.
Alfredo è in sciopero della fame dal 20 ottobre contro il regime detentivo del 41 bis e contro l’ergastolo ostativo. Una battaglia che non intende interrompere, fino al proprio decesso.
La sua lotta riguarda tutte le detenute e i detenuti, fra i quali ricordiamo i tre militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente rinchiusi da oltre 17 anni in 41 bis (Nadia Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma). Nel 2009 la compagna Diana Blefari, della stessa organizzazione, si tolse la vita dopo la permanenza in questo duro regime carcerario. Solo comprendendo questi regimi di isolamento come mezzo di pressione, come tortura, per estorcere il pentimento, possiamo capire il carattere politico degli scioperi della fame fino alla morte attuati da molti compagnx rivoluzionarx.
Attualmente detenuto nel carcere di Bancali, in Sardegna, Alfredo si trova recluso ininterrottamente da dieci anni nelle sezioni di Alta Sicurezza e ora in regime di 41 bis. Alfredo è sempre stato in prima linea nelle lotte, mai disposto a compromessi o ad arrendersi, attivo nella difesa dei compagni colpiti dalla repressione, in ogni angolo del mondo. Dopo l’arresto avvenuto nel 2012, nel corso del processo che ne è seguito, ha rivendicato il ferimento del dirigente di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, uno dei massimi responsabili del nucleare in Europa. Nel 2016 è stato coinvolto nell’operazione Scripta Manent in cui è stata riformulata la condanna per lo stesso Alfredo e per Anna Beniamino in “strage politica” – la cui unica pena prevista è l’ergastolo – cosa mai applicata nemmeno al massacro del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna o a quello del 12 dicembre 1969 di Piazza Fontana a Milano. Lo Stato italiano complice delle peggiori carneficine fasciste sta condannando per strage due anarchici per un attacco che di fatto non ha provocato né vittime né feriti.
Condividiamo con Alfredo la necessità di lottare contro una società basata sullo sfruttamento e l’annichilimento di ogni forma di vita. Sappiamo che sono tempi ideali per mettere in atto svolte autoritarie da parte dei governi, lottare contro la miseria di questo mondo ci riguarda tutte!
NO AL 41-BIS, NO ALL’ERGASTOLO OSTATIVO LIBERX TUTTX