SECONDA USCITA DELLE EDIZIONI ANARCOQUEER: GUERRIGLIA FROCIA

Riceviamo e diffondiamo:

È disponibile la seconda uscita delle edizioni Anarcoqueer, Guerriglia Frocia.

Testi di Ed Mead e Rita “Bo” Brown sulla George Jackson Brigade e il collettivo gay anticarcerario Men Against Sexism (1975-1978) (allegata copertina).

Dal retrocopertina:
Racconti di vita e di lotta di Ed Mead e Rita “Bo” Brown, due membri della George Jackson Brigade (GJB), fuori e dentro dall’inferno carcerario. Una lesbica e un gay di estrazione proletaria che impugnano le armi e decidono di lanciarsi in una lotta rivoluzionaria, senza respiro, contro il sistema capitalista, le istituzioni carcerarie, il sessismo, il razzismo e l’omofobia. Dopo una serie di azioni spettacolari (undici attentati, altrettante rapine in banca e la
liberazione di un prigioniero) si apre per loro una nuova fase, che non significa affatto una resa ma semplicemente un nuovo scenario di battaglia: quello della lotta dall’interno delle mura.

112 pagine, 10 euro a singola copia, 7 euro da cinque copie in su

Parte del ricavato del libro sarà benefit per prigionierx e progetti queer/transfemministi

INDICE
Introduzione
Una breve storia della George Jackson Brigade
Una breve autobiografia di Bo Brown
Dichiarazione alla corte di Rita Bo Brown
Dichiarazione in tribunale alla sentenza di condanna di Bo Brown
Una breve autobiografia di Ed Mead
Imprigionato e segregato di Ed Mead
Men Against Sexism di Ed Mead
Queerizzando l’underground. Un’intervista con Bo Brown & Ed Mead
Cronologia delle azioni della GJB raccontate dal gruppo stesso
Fonti e bibliografia

Per info e ordini: anarcoqueer@riseup.net
http://anarcoqueer.noblogs.org

LA RETORICA DELL’EMERGENZA PSICHIATRICA PER IL CONTROLLO SOCIALE

Da Ricongiunzioni – Radio Blackout: https://radioblackout.org/2023/05/la-retorica-dellemergenza-psichiatrica-per-il-controllo-sociale/

Non è un caso se di psichiatria si parla sempre più spesso. Dagli abusi di psicofarmaci in carcere nei cpr[1][2] alle retoriche neomanicomiali che accompagnano la triste conta degli operatori e delle operatrici (più spesso) uccise dai pazienti, come è successo a Pisa lo scorso 24 Aprile. Una conta ben lontana, comunque, dall’eguagliare le morti di psichiatria nelle carceri, nei reparti ospedalieri, nelle comunità, per strada durante un TSO, per gli effetti collaterali a lungo termine dei farmaci. Eppure, di emergenza psichiatrica si parla sempre solo per dire che ci sono un sacco di matti pericolosi in giro e non per ricordare che la psichiatria può uccidere; e neanche questo è un caso. Non lo è perché la psichiatria è sempre stata, in maniera più o meno attiva a seconda dei periodi storici, schierata in una guerra alla povertà, alla disobbedienza e a tutto ciò che è altro e che eccede la norma. Senza citare i casi di oppositori politici finiti in manicomio, pratica diffusa in tanti paesi del mondo ancora ad oggi, basti pensare che durante il fascismo una donna poteva finire in manicomio perché “libertina, indocile, irosa, smorfiosa o madre snaturata”, oppure che nell’america schiavista la “drapetomania”  diagnosticava il desiderio di scappare dalle piantagioni degli schiavi. Casi storici estremi che tradiscono la più subdola compenetrazione quotidiana del controllo sociale e della psichiatria, una pseudoscienza nata dalla separazione tutta occidentale tra ragione e sragione. Ci sono stati, certo, dei brevi periodi in cui i movimenti sociali sono riusciti ad impadronirsi di un’autonomia nella progettazione della cura delle sofferenze sociali distanziandosi dal paradigma biomedico per dare vita ad un’antropologia pratica o ad una sorta di ecologia umana, che ribaltando il meccanismo di delega medico-paziente restituisse la responsabilità della cura alla comunità e al territorio. Il movimento di deistituzionalizzazione in italia è un esito di queste tensioni, ed è importante riconoscerlo altrimenti succede di leggere che i manicomi sono stati chiusi “grazie allo sviluppo della psicofarmacologia che permetteva di curare i pazienti a casa”[3]. No, non è andata così, la chiusura dei manicomi è il frutto di una lotta con tanti morti dentro ai manicomi e con qualche psichiatra (specie quelli a cui piaceva legare le persone ai termosifoni) gambizzato. E sono stati altri psichiatri a tematizzare la lotta di classe nel loro lavoro, ribadendo che se la guerra che avviene ogni giorno in psichiatria viene invisibilizzata, se non si esercita con consapevolezza politica, ogni atto di cura e contenzione diventa un atto di guerra contro una classe marginalizzata.

Quando questa consapevolezza politica si perde, i discorsi e le pratiche della psichiatria diventano sempre più vicini e simili a strumenti e istituzioni più esplicitamente punitivi e repressivi. La “cura” si mischia con la galera. I reparti, le residenze private e le comunità diventano più simili a carceri, e le carceri vengono inondate di farmaci. Quest’ultime si riversano negli ospedali pieni di detenuti ricoverati, che si aggiungono a chi viene internato perché in famiglia o in quartiere da fastidio. Gli psichiatri diventano così dispensatori di farmaci preoccupati della mera gestione dei sintomi e responsabili della custodia dei loro pazienti. I percorsi esistenziali che si incontrano nelle galere e in psichiatria sono gli stessi, in una traspirazione di destini facilitata dalle porte scorrevoli che separano il sistema penale da quello psichiatrico. Questo lo si intuisce per esempio da un dato su tutti: in tutti i paesi industrializzati il numero di persone con problematiche psichiatriche in carcere aumenta vertiginosamente mentre si riduce quello delle persone prese in carico dai servizi territoriali. La psichiatria è tornata oggi ad essere uno strumento di marginalizzazione, in senso diametralmente opposto alla riforma ispirata da Basaglia che non è mai stata implementata se non in qualche sparuta provincia. I manicomi fioriscono sotto mutate spoglie. Nel 78 c’erano 90.000 persone internate e ne contiamo quasi 70.000 oggi tra SPDC comunità, case di cura eccetera, senza contare l’enorme mole di miseria umana psichiatrizzata in carcere. (Questo dovrebbe fungere da monito a tutti coloro che pensano che lo stato possa riformare la psichiatria).

Perché oggi si torna a parlare di riforma della psichiatria e si mette in dubbio la chiusura dei manicomi? Tramite la presunta “emergenza psichiatria” diverse parti sociali (governo, associazioni di categoria, direttori sanitari) convergono nel chiedere in breve: più posti nelle REMS, sezioni di carcere speciali per imputabili in aggiunta alla rete di ATSM (Articolazioni di Tutela della Salute Mentale), TSO più snelli. Qualcuno si avventura a chiedere, cogliendo l’occasione, più operatori nei servizi territoriali. Ma non sembra essere questo l’aspetto che interessa ad un governo che assume solo polizia. Il punto è avere più posti letto per i folli rei e per i rei folli. Come se un letto potesse curare qualcuno.

L’utilizzo per fini repressivi dell’emergenza psichiatria non è nuovo. Già Salvini nel 2018 dichiarava che era in atto una “esplosione di aggressioni” da parte di “pazienti psichiatrici” e che da quando i manicomi sono stati chiusi c’è stato un «abbandono dei malati lasciati in carico alle famiglie». Questo genere di retorica neomanicomiale o panpenalista è interessata all’utilizzo della psichiatria nel governo della popolazione tramite la marginalizzazione di alcuni suoi componenti. Le carceri sono sempre state un avamposto di questa sperimentazione, come è già stato scritto e detto[4][5] e infatti i primi a parlare di emergenza psichiatrica sono stati i sindacati di polizia, le prefetture e il DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria).

In secondo luogo, più contenzione è meno cura è la ricetta perfetta per ingrassare il privato. La spesa pubblica e privata nell’ambito della salute mentale viene assorbita soprattutto dalla residenzialità. I soldi girano intorno ai ricoveri, nei posti letto in case di cura lontane dalla comunità, e nei farmaci, che all’isolamento fisico aggiungono la sedazione farmacologica. Si ripropone in questo modo lo stesso circolo vizioso che porta all’esplosione dei profitti privati nell’ambito sanitario e assistenziale. Più la follia viene contenuta e più la gente sta male, e più la gente sta male più bisogno c’è di contenzione e custodia, contenzione materiale ad ingrassare i portafogli di investimenti delle multinazionali della sanità privata, della infinità di cooperative del terzo settore in buona e cattiva fede che gestiscono comunità ormai diventate colonie penali, e non ultima dell’industria dei farmaci. Le visite degli informatori delle case farmaceutiche sono quotidiane in gran parte dei reparti psichiatrici. Farmaci long-acting sempre più sganciati dalla relazione terapeutica, con un rischio di cronicizzazione altissimo che spesso finiscono per ricacciare ancora più a fondo le persone nella voragine esistenziale da cui provano a uscire: solitudine e miseria.

Per ultima potremmo ipotizzare una terza ragione meno vincolata ad interessi materiali del diffondersi della preoccupazione per l’emergenza psichiatrica? Questa origina forse dalla contemporanea più generale tendenza ad “alienare” tutto ciò che esula dalla consueta e quieta amministrazione della vita sociale. Una malinconica pulsione a reprimere e mortificare ciò che è vivo, e in quanto vivo intrinsecamente rivolto al nuovo, anche oltre la cultura e le abitudini dominanti. Allora in un mondo in cui la sofferenza psichica diventa sempre più spesso strumento di espressione di una condizione politica, e insieme ricerca di un progetto di vita che scardini l’ordine esistente, ecco che ci si attrezza e reprimerla questa tensione, identificando, emergenza dopo emergenza, l’ennesimo nemico pubblico…Emergenza anarchici, emergenza orsi, emergenza matti. Nel mondo che diventa emergenza nessuno è salvo, le categorie dell’esclusione si avvicinano sempre di più.


[1] https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani/

[2] https://radioblackout.org/2023/01/chimica-e-rivolta-al-casal-del-marmo-di-roma/

[3] https://www.quotidiano.net/cronaca/legge-basaglia-psichiatri-omicidio-barbara-capovani-39ee9864

[4] https://www.osservatoriorepressione.info/carcere-psichiatria-strumenti-controllo/

[5] https://radioblackout.org/podcast/carceri-invisibili-del-20-09-22/

ASSEMBLEA BOLOGNESE CONTRO CARCERE, 41BIS ED ERGASTOLO OSTATIVO

Diffondiamo:

Dopo 6 mesi di mobilitazione in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo contro 41bis ed ergastolo ostativo, sentiamo l’esigenza di fare delle valutazioni collettive su questi mesi a livello locale e ragionare insieme sui passi futuri.
In questi mesi l’assemblea aperta di Bologna in solidarietà con Alfredo è stata un momento fertile di scambi e proposte, ci piacerebbe quindi darci un momento di sintesi tuttx insieme.

Martedì 2 maggio ore 20, al Tribolo!
(via D.Creti 29/2 Bologna)

In strada al fianco di Alfredo, contro carcere e 41 bis

Un intervento letto durante la Street Rave Parade di Bologna del 22.04.2023

Oggi attraversiamo le strade di Bologna partecipando alla Street Rave Parade, ma oggi vogliamo parlare anche di quello che succede dentro le carceri:

3 giorni fa il compagno anarchico Alfredo Cospito ha interrotto lo sciopero della fame che aveva iniziato il 20 ottobre 2022 per protestare contro il regime detentivo del 41 bis e contro l’ergastolo ostativo.
Uno sciopero della fame durato 181 giorni, durante i quali Alfredo ha perso 50 kg e la sensibilità ad un piede a causa di danni irreversibili al sistema nervoso periferico.

Ma che cos’è il 41 bis?

Si tratta di un regime di annientamento e tortura studiato per provocare danni fisici e mentali tramite la tecnica della deprivazione sensoriale e per indurre sofferenza, allo scopo di estorcere confessioni e dichiarazioni. Censura della posta. Colloqui di massimo un’ora con i familiari dietro un vetro divisorio, una volta al mese. Incontri video-registrati. La socialità, nelle due ore d’aria al giorno concesse, è limitata ad un gruppo di 4 persone. Un ambiente in cui si è costantemente osservati ed ascoltati da telecamere e microfoni, sotto il vigile occhio dei GOM, reparto speciale polizia penitenziaria noto per la sua brutalità.

Nato con il pretesto di combattere la mafia, il 41 bis punta a recidere i legami e i contatti dei reclusi con il mondo esterno. L’unico modo per uscirne è quello di pentirsi e collaborare con la giustizia: un mezzo di pressione, di tortura, per estorcere il pentimento. L’isolamento totale, l’annichilimento della personalità del recluso, si accompagna ad una realtà quotidiana fatta di abusi, torture, umiliazioni e sofferenze.

Ad oggi sono 728 le persone recluse nel regime di tortura del 41 bis: fra di loro, 3 detenuti politici, militanti delle nuove brigate rosse, vi sono rinchiusi da oltre 17 anni.

Alfredo si trova in 41 bis perché ritenuto il fondatore di un’organizzazione che non esiste (la FAI – federazione anarchica informale, che per sua stessa definizione, se è informale non può essere un’organizzazione!). Secondo politici e media, Alfredo sarebbe il “leader degli anarchici”, una sorta di boss che dall’interno del carcere impartisce ordini ai suoi seguaci tramite i suoi scritti e le sue parole.

Ci strappa un’amara risata il fatto che per lo Stato sia inconcepibile agire senza una gerarchia, un’organizzazione, un’autorità, un partito.
Noi non lottiamo né per l’egemonia né per il potere: lottiamo contro il potere, contro chi opprime, sfrutta e devasta. Contro galere e CPR, strumenti che Stato e padroni usano per mantenere l’ordine attuale fatto di oppressione e sfruttamento. Non vogliamo conquistare il potere, vogliamo distruggerlo. Non vogliamo prendere i palazzi, vogliamo demolirli. Non vogliamo la trasformazione di questa società ma la sua abolizione. Non vogliamo né obbedire né comandare.

Rispediamo al mittente l’accusa di strage per cui vorrebbero tombare Alfredo nelle patrie galere.
Oggi siamo qui per dire stragista è lo Stato non chi lo combatte! Stragista è lo stato che lascia morire le persone in mezzo al mare, nelle carceri, alle frontiere. Nonostante le sentenze che possono emettere i tribunali, nonostante gli anni di galera con cui provate a seppellire vivi i nostri compagni e le nostre compagne, noi siamo e saremo sempre

Al fianco di Alfredo
Al fianco di Anna, Juan, Ivan
Al fianco di chi lotta dentro e fuori le galere

CONTRO 41 BIS ED ERGASTOLO OSTATIVO
LIBERX TUTTX

MONTESOLE: DALLE MONTAGNE ALLE CITTÀ, LIBERAZIONE! DAL 41BIS, DALLE FRONTIERE, DALLE GALERE

Riceviamo e diffondiamo:

Ieri, 25 aprile, siamo stat a Monte Sole, nelle zone dell’eccidio di Marzabotto avvenuto nel 1944 per mano nazifascista. In una data che ogni anno si ripete uguale a sé stessa, e che troppo spesso diventa celebrazione e ricordo di una resistenza partigiana museificata, siamo salit sul palco con uno striscione con scritto “dalle montagne alle città liberazione dal 41 bis, dalle frontiere, dalle galere” e abbiamo letto un testo che abbiamo distribuito alle persone presenti, creando dibattito attorno al tema del 41 bis e di cosa significa resistenza oggi. Di seguito il testo del volantino:

Perché parlare di 41 bis il 25 aprile, nella festa della liberazione dal fascismo?

Il 41 BIS nasce e si sviluppa tra gli anni 70 e 90, nel contesto della repressione della lotta di massa e della lotta armata di quegli anni, entrando in vigore nel 1992 con le stragi di mafia. Da misura emergenziale si trasforma in strumento repressivo adottato abitualmente dallo stato italiano. Comporta 21/22 ore di isolamento al giorno in celle di due metri e mezzo per tre metri, con finestre che impediscono alla luce di entrare. L’ora d’aria avviene con altre persone dello stesso regime carcerario a discrezione della direzione del carcere e i reclusi non hanno la possibilità di avere contatti visivi con elementi naturali. Possono avere 1 solo colloquio familiare di 60 minuti al mese rispetto i 6 dei detenuti comuni. L’obiettivo del carcere duro è quello di annichilire dal punto di vista psicofisico la persona detenuta, spingendola a collaborare o a “pentirsi”.
Le organizzazioni internazionali per i diritti umani lo definiscono un regime di tortura.
Il prigioniero anarchico Alfredo Cospito è al 41 bis da maggio 2022, e il 20 ottobre ha iniziato uno sciopero della fame per opporsi a questo regime detentivo e all’ergastolo ostativo. In questi mesi altri prigionieri e prigioniere anarchiche Anna, Juan e Ivan hanno solidarizzato con la sua lotta. Moltissime sono state le dimostrazioni in suo sostegno anche fuori dalle carceri, in Italia, ma anche all’estero. Il 18 Aprile, la Corte Costituzionale si è espressa ritenendo illegittima l’applicazione di questa pena al caso di Alfredo, riconoscendogli dunque la possibilità di attenuanti. A seguito della sentenza, dopo circa 180 giorni di sciopero della fame, dopo aver perso 50 kg e aver compromesso la funzionalità deambulatoria, Alfredo ha interrotto lo sciopero. Ha ritenuto infatti di aver raggiunto diversi obiettivi della sua lotta, non ultimo l’avvio di un grande dibattito pubblico sul carcere punitivo e sulla necessità della sua abolizione. Ogni giorno persone recluse nelle carceri e nei cpr (centri di permanenza e rimpatrio) di questo paese rifiutano il cibo o l’ora d’aria, fanno battiture, danno fuoco a materassi, si cuciono la bocca e compiono ogni genere di azione per protestare contro un sistema che degrada la loro sopravvivenza e punta ad annullare la loro dignità. A marzo 2023 dopo giorni di rivolte alcuni detenuti sono riusciti a far chiudere il CPR di Torino, noto per i maltrattamenti riservati ai reclusi dalle forze dell’ordine e per i suicidi. Alcuni dei rivoltosi sono stati puniti con decreto immediato di espulsione e rimpatriati nei rispettivi paesi d’origine o trasferiti in altri cpr, come quello di Macomer in Sardegna, dove hanno iniziato a loro volta uno sciopero della fame. La resistenza contro il fascismo è stata portata avanti da persone che hanno scelto di lottare con i propri corpi anche a costo della propria vita. Ciò nonostante, lo stesso stato che si narra nato dall’antifascismo e trova in questo la sua legittimazione, oggi reprime pesantemente ogni forma di lotta e dissenso che disturbi l’ordine costituito. Il 41 bis è una delle forme più esplicite e violente della mentalità fascista e punitiva su cui si basa l’intero sistema carcerario. Per noi le celebrazioni dell’antifascismo e della Liberazione rimangono spesso momenti di vuota retorica, in cui non trova spazio la voce di chi subisce, oggi come ieri, la violenza fascista e razzista dello stato italiano.Si elogiano le gesta delle bande partigiane di un tempo, e le odierne lotte di liberazione portate avanti contro regimi lontani, per esaltare la nostra società occidentale fintamente democratica e libera: ma nei fatti, e sempre più pesantemente, si alzano le condanne contro ogni forma di dissenso. Oggi siamo qui per sostenere la lotta di chi ogni giorno si ribella con ogni mezzo necessario a un sistema-stato che reprime, tortura e uccide.

Ci opponiamo ai trattamenti degradanti a cui vengono sottoposte tutte le persone rinchiuse nelle carceri, le persone senza documenti, le persone psichiatrizzate e gli animali negli allevamenti intensivi o nei canili lager.  Al fianco di Alfredo,  Al fianco di chi lotta.

 

BOLOGNA: PRESENTAZIONE OPUSCOLO “TSO – GUIDA MOLTO PRATICA ALL’AUTODIFESA”

Riceviamo e diffondiamo:

Giovedì 27 aprile in via Agucchi 126 con il collettivo antipsichiatrico Strappi:

Socialità antipsi dalle 19.00
Porta la tua esperienza e lascia a casa la performatività.

Presentazione dell’opuscolo
“TSO – Guida molto pratica all’autodifesa. Cosa può fare chi è dentro, cosa può fare chi è fuori”

Cenetta sociale, o anche non.
Ci si fa da mangiare per autofinanziare la biblioteca di informazione e controinformazione antipsichiatrica, che sarà presto spulciabile.

antipsi.noblogs.org