QUALCHE NOTIZIA SULLA FORESTA DI HAMBACH

Riceviamo e diffondiamo questa preziosa chiacchiera con due compagnx che da molti anni vivono nella foresta di Hambach.

La miniera di Hambach è una voragine profonda fino a 500 metri, la maggiore depressione d’europa, che raggiunge i 300 metri sotto il livello del mare e che si estende per 85 km2 (il doppio del centro storico di Bologna, la metà dell’intera città di Milano, 30 km2 in meno di Napoli). Una parte della terra scavata dalla miniera è stata usata per erigere la più alta collina artificiale del mondo, alta 300 metri. Vi si estrae lignite, un combustibile fossile di bassa qualità con un contenuto di carbone attorno al 30%. Dal 1978, anno di apertura della miniera, le comunità locali si battono contro la privatizzazione e la devastazione del territorio. Dal 2012, con l’occupazione della foresta, è stata creata una zona autonoma in cui si sperimentano forme di vita basate sull’autogestione, l’antispecismo, il superamento del binarismo di genere e la liberazione dal patriarcato, dove si lotta contro il capitalismo e ogni forma di dominio dell’essere umano, sui viventi e sul pianeta. Da allora vari sgomberi della foresta sono stati eseguiti in modo violento dalla polizia tedesca. A questi è sempre seguita la rioccupazione della foresta, con la costruzione di strutture e case sugli alberi. Gli sgomberi spesso avvengono in concomitanza con la “stagione di taglio”, alcune settimane durante l’autunno, in cui è legale in Germania procedere con gli abbattimenti di foreste. La RWE, compagnia tedesca che gestisce la miniera, negli ultimi anni ha cambiato strategia, interrompendo il taglio della foresta, ma continuando comunque ad espandersi intorno ad essa. Inoltre per evitare che la miniera si inondi, viene costantemente pompata via l’acqua del sottosuolo, cosa che rende il terreno sempre più secco, portando verso la morte quel che rimane della foresta. Sotto l’illusione della svolta “verde”, la compagnia porta avanti un nuovo progetto che riguarda la trasformazione di una parte della miniera in un lago con parchi solari ed eolici, nuove aree protette, creando nuovi posti di lavoro nel capitalismo green. Con estrema arroganza, chi si è arricchito devastando quest’area, ora si vanta di voler dare nuova vita alla distruzione causata da loro stessi senza alcun riguardo per le vite che vi si svolgevano. Una lotta, quindi, che non è vinta, né conclusa. E che porta con sé una memoria densa e ricca. All’interno della foresta si trova il memoriale, un luogo in cui vengono ricordate le persone che hanno partecipato alla lotta nella foresta e che ora non ci sono più. Nel 2018, durante uno dei tanti violenti sgomberi, viene ucciso il compagno Stephen per mano della repressione da parte dello stato e dei suoi alleati, così come Lobo e Shain compagnx internazionalistx che tanto della loro passione e rabbia avevano dedicato alla foresta per poi scegliere di continuare la lotta a fianco del popolo kurdo, cadendo martirx in Kurdistan. Oltre all’occupazione della foresta, nella zona ci sono vari spazi occupati, in cui le diverse anime di un movimento vario e multiforme trovano espressione con spirito di mutuo aiuto e solidarietà, contro il mondo capitalista. Queste zone autonome vanno difese e vissute, perché è qui che si sperimenta l’utopia di libertà che è slancio e destinazione del nostro agire politico.

Nella carta: in blu ciò che resta della foresta di hambach, in rosso il progetto di espansione della miniera (che è in grigio), in arancione la collina artificiale.

1° gennaio 2024, campo di Hambi.

La prima domanda che vorremmo farvi è: quando è iniziata la lotta di Hambach e perché. Potete raccontarci quale è il ruolo della compagnia mineraria nella regione e quali sono i suoi obiettivi?

In questa zona c’è la compagnia RWE, che è una compagnia di estrazione del carbone, costruisce miniere a cielo aperto per estrarre la lignite dal terreno e portarla alle fabbriche o alle centrali elettriche per produrre elettricità. Qui, hanno iniziato ad estrarre lignite nel ’78. Stanno costruendo una miniera a cielo aperto, quindi non scavano nel sottosuolo ma il terreno viene aperto dalla superficie per estrarre il carbone; la miniera deve essere molto grande e profonda perché il carbone si trova in profondità. Un sacco di terra viene distrutta. La miniera è stata aperta nel ’78 e anche qui la resistenza è iniziata presto, perché le persone si sono viste togliere la terra e anche dove c’erano i villaggi la compagnia ha iniziato a scavare. Così la gente è stata, ed è tuttora, costretta a spostarsi, ad andarsene, in modo che la compagnia possa ottenere terra per distruggerla e continuare ad allargare questa enorme miniera. C’è stata una forte resistenza locale e la gente ha cercato di protestare contro la compagnia, poi nel 2012 è iniziata la prima occupazione della foresta. Ci sono diverse miniere in quest’area, ma questa, la miniera di Hambach, è la più grande, prima quasi tutto il terreno era foresta, e c’erano anche alcuni villaggi. L’occupazione della foresta rappresenta solo un decimo della foresta originale, quindi è davvero molto piccola. Dal 2012 nonostante i continui sgomberi e le conseguenti nuove occupazioni, le persone continuano ad esserci.

Cosa ci dite invece del fatto che la compagnia vuole trasformare la miniera in un lago mentre quel che rimane della foresta sta morendo?

Ora abbiamo una situazione dove la miniera si sta estendendo da un lato, quindi la miniera è ancora in funzione e le scavatrici ancora funzionano, ma il piano della compagnia sta cambiando. In base a questo cambiamento forse la miniera potrebbe fermarsi. In Germania il governo dice che nel 2030 usciranno dal carbone fossile, quindi lo sfruttamento di quest’area dovrà cambiare. I vecchi progetti della miniera risalgono agli anni ’80, quindi devono escogitare un altro fine per quando la miniera non sarà più utilizzata. Vogliono fare un grande lago: immaginate un buco enorme che sarà riempito d’acqua prendendola dai fiumi che già, dopo tutti questi anni di siccità, di acqua non ne hanno abbastanza. Il progetto è enorme, vogliono costruire grandi tubi per portare l’acqua e anche in questo caso la conca non sarebbe piena, ma l’acqua sarebbe qualche decina di metri più bassa del margine, quindi non sarebbe proprio come un lago, anche se accadesse. Con l’uscita dal carbone, non verrà più prodotta energia carbonfossile, quindi la miniera non sarà più utilizzata e a questo punto vorranno sviluppare la regione incrementando posti di lavoro per la gente in altro modo. Inoltre, se prima dicevano che il villaggio dove ci troviamo ora doveva essere distrutto, ora hanno cambiato idea e il villaggio può rimanere, e questo è parte dei nuovi piani che hanno deciso, cioè investimenti per nuovi progetti di capitalismo green. La miniera si sta ancora espandendo da un lato, anche se non sul lato dove c’è la foresta. Però quando la foresta finisce inizia la miniera, e pompano via le acque sotterranee dalla miniera perché devono scavare molto in profondità per il carbone. Quindi abbiamo un problema enorme con l’acqua nella foresta e anche il microclima sta cambiando, ci sono molte tempeste, fa molto caldo in estate, e la foresta è una piccola isola non collegata a nessun’altra foresta; da un lato c’è questo buco molto grande e dall’altro c’è un villaggio e alcuni campi dove vogliono ancora scavare: la foresta è ancora in pericolo.

Vogliono tagliare anche una nuova parte della foresta di Hambach, vicino al villaggio di Manheim. Questa, supponiamo, verrà tagliata la prossima stagione perché si trova vicina al punto dove ora si sta scavando. In quel punto c’è un’altra parte della foresta che ora non è collegata al resto e sarebbe importante collegarle di nuovo un giorno, ma la compagnia vuole continuare a scavare.

Quanti anni ha la foresta?

Dodicimila anni. Parte di questa foresta non è mai stata utilizzata dall’uomo, quindi è un ecosistema super antico e prezioso.

Come è cambiata la lotta nel tempo? Quali sono stati i momenti più significativi chiave della lotta?

Sicuramente quando è iniziata l’occupazione della foresta, quello è stato un momento chiave, credo.

L’occupazione della foresta è stata un momento di incontro fra tutte le forme di resistenza che c’erano nella zona, perché tutte le altre forme di protesta avevano fallito, e non erano riuscite a bloccare il progetto. C’erano stati tentativi tramite cause in tribunale contro la miniera. Era una novità che la gente andasse nella foresta e la occupasse, così tutti coloro che erano contrari alla miniera parteciparono a questa occupazione. Questo è stato uno dei momenti chiave. Un altro momento è stato nel 2014/15 quando ci sono state azioni violente contro l’azienda, contro le pompe ecc. e il personale dell’azienda non voleva più entrare nella foresta. È stato un momento importante perché c’è stato il tempo per creare uno spazio sicuro nella foresta, quella che è diventata poi una zona autonoma. Prima, la sicurezza della compagnia e i poliziotti entravano nella foresta e la gente non riusciva a proteggerla. Poi in questo periodo ci sono stati più sabotaggi e attacchi violenti, quindi le guardie della compagnia non volevano più ad entrare nella foresta. Questo ha significato anche una maggiore costruzione di strutture sugli alberi e una maggiore organizzazione, le persone si sentivano un po’ più sicure e meno minacciate dall’esterno. Poi, nel 2017 c’è stato uno stop alla stagione dei tagli. Ogni anno, per un paio di mesi in autunno-inverno, c’è la “stagione di taglio” dove è permesso tagliare gli alberi, anche grosse superfici di foresta. Nel 2017, un tribunale ha fermato la stagione dei tagli e questo ha permesso alle persone di costruire più strutture sugli alberi e di essere più rilassate, in quanto gli alberi non venivano tagliati e le persone hanno avuto tempo per organizzarsi. In questo modo le persone potevano prepararsi per gli anni successivi e questo era davvero importante per avanzare nella lotta e costruire più strutture. Ovviamente nel 2018, un anno dopo, c’è stato il più grande sgombero e la più grande operazione di polizia che è avvenuta nell’area, portando alla distruzione di tutto ciò che era stato costruito nella foresta, come reazione c’è stata anche una grande mobilitazione di persone e i media hanno iniziato a parlarne portando molte persone a unirsi alla lotta. Questo grazie al periodo precedente in cui le persone hanno potuto prepararsi. Durante lo sgombero di Hambach del 2018 moltissime persone sono arrivate in supporto e c’è stato un corteo di 500mila persone. È stato un momento in cui tante persone sono state coinvolte, c’è stato tanto sostegno dall’esterno e molte persone sono venute nella foresta. E hanno aiutato a rioccupare la foresta!

Quanto era grande, prima dello sgombero, l’area occupata?

C’erano quasi 90 alberi con case e strutture nella foresta, e hanno distrutto tutto. Lo sgombero è durato poco più di tre settimane, in totale. In un barrio1 addirittura ci vivevano diverse centinaia di persone, era davvero grande. Così, mentre loro continuavano a sgomberare e a distruggere una parte della foresta, in un’altra parte la gente rioccupava e ricominciava a costruire.

Come ha funzionato la repressione in questa lotta? Quali sono stati e quali sono gli effetti della repressione prima e ora?

Penso che la repressione sia aumentata. Le persone sono state criminalizzate molto e sono state mandate in prigione con pene sempre più dure. Nel 2017 e nel 2018 c’è stata molta repressione e questo ha portato le persone a stare più attente e a non fare più molte cose. Nel 2015-16 ci sono state diverse persone finite in carcere o in custodia cautelare per mesi, senza che ci fosse una accusa concreta. In molti casi ciò che le persone facevano era rifiutarsi di fornire la propria identità. In molti casi questo funzionava abbastanza bene, e anche se talvolta ciò significava che le persone dovevano rimanere più a lungo in prigione o in custodia mentre cercavano di scoprire l’identità della persona, alla fine si riusciva ad evitare le condanne.

Qual è l’accusa che hanno usato maggiormente? C’è stata qualche costruzione mediatica sulle persone che vivono qui e sull’occupazione della foresta nella propaganda dei media mainstream?

All’inizio, durante il primo sgombero degli alberi, hanno cambiato la strategia mediatica. C’è stato un programma, sul canale ufficiale, che in Germania è governativo, in cui i giornalisti in tv erano vicini agli alberi e non parlavano di uno sgombero ma di un’operazione di salvataggio. È stato molto interessante perché il reporter era ripreso davanti ad un’ambulanza, con le luci blu nell’immagine, come a dire: “Dobbiamo salvare questa persona che si trova nel tunnel sotto terra e la polizia sta facendo di tutto per lui”. Prima eravamo i terroristi, le scimmie e tutto il resto. Hanno sempre cercato di criminalizzarci. C’erano incursioni della polizia nell’accampamento che sta ai margini della foresta per cercare armi, spezzare la solidarietà, sequestravano materiale con cui si immaginavano che le persone costruissero molotov e portavano via carta igienica, plastica e quant’altro. Un posto a Durrin (villaggio nelle vicinanze), una struttura di supporto, è stato oggetto di diverse perquisizioni. L’accusa che addossavano era soprattutto di resistenza contro i poliziotti, resistenza aggravata, invasione.

In questo periodo Negli ultimi tempi ci sono stati diversi attacchi alla foresta, come sono collegati alla repressione?

Ci sono sempre stati attacchi di questo tipo, cioè persone che non ci amano, a volte non sappiamo chi siano, spesso supponiamo siano persone che sostengono RWE, lavoratori della miniera, quindi non vogliono persone contrarie a questa attività mineraria. Vengono di giorno per insultaci, e a volte anche di notte. Ci sono attacchi notturni, probabilmente sono anche nazisti, abbiamo avuto auto bruciate nel villaggio. Un piccolo campo vicino alla foresta è stato attaccato con molotov e bruciato, l’anno scorso abbiamo avuto molti incendi di strutture vuote, sei più o meno. Ci sono sempre stati attacchi da parte dei nazi, solo la prima occupazione della foresta non è stata attaccata.

Riguardo alla solidarietà che avete ricevuto: che reazioni e quali azioni ci sono state da parte delle persone del territorio? In che modo le persone vi hanno dato solidarietà e in che modo continuano a darla?

La solidarietà è stata dimostrata in molti modi diversi, c’è stato e c’è un grande sostegno da parte delle persone, alcune persone son venute per vedere la foresta, altre sono semplicemente interessate a venire, conoscere e parlare con chi vive qui. Alcunx vengono una prima volta e poi continuano a tornare. Alcun magari non ci sono mai stati prima e poi tornano a visitarla. Le persone ci aiutano con i materiali, portando molte cose, chiedendo cosa ci serve, offrendo posti per dormire o per riposare, donazioni di ogni tipo, cibo. Le persone ci supportano anche organizzando cose al di fuori della foresta, tramite manifestazioni, facendo controinformazione, raccontando alla gente quello che succede qui, facendo azioni da qualche parte, non solo nella zona, ma anche in altre città. C’è un’enorme rete di supporto, anche in altre città. La gente fa un sacco di cose diverse!

Per quanto riguarda il luogo in cui ci troviamo, l’accampamento di Hambi, anche questo è stato un segno di sostegno da parte di una persona del villaggio, vuoi dirci qualcosa di più a riguardo?

Innanzitutto, questo è collegato, c’era e c’è ancora il campo di Mado. C è una persona solidale della zona che possiede questo campo, una persona che sin dall’inizio, da quando è iniziata l’occupazione della foresta ci ha dato il suo campo da usare, e nel mentre aveva anche delle cause giudiziarie, per cercare di mantenere la sua terra e non doverla vendere a RWE. Era davvero molto coinvolta, e poi anche più tardi ha continuato a provare ad aprire molte cause legali contro la miniera.

Poi, quando nel 2018 c’è stato lo sgombero nella foresta, è iniziato il primo campo di hamby nell’altro villaggio per sostenere lo sgombero e la rioccupazione, per avere un luogo sicuro da dove le persone potessero entrare ed uscire dalla foresta. Quando non è stato più possibile rimanere lì, la gente ha iniziato a chiedere in giro per il villaggio e abbiamo trovato una donna molto gentile che ha dato il suo giardino per l’accampamento di hamby, quello dove siamo ora, dove abbiamo acqua ed elettricità e un sacco di strutture che possono stare indisturbate in questo giardino per sostenere l’occupazione della foresta.

In questi anni, ad Hambach, è stata costruita un’enorme zona autonoma. Cosa significa per voi? Come funziona? Quali sono gli aspetti positivi? Perché è ancora importante mantenere questa zona autonoma?

Perché, come hai detto tu, è una zona autonoma molto grande e penso che sia stata e sia tuttora importante perché c’è molto scambio tra persone provenienti da diverse aree e paesi e da diverse lotte che possono trovarsi qui per imparare a vicenda, per aiutarsi e sostenersi. Inoltre, poiché questo luogo è al di fuori della civiltà, si può imparare molto dalla vita nella foresta, che è davvero molto diversa dalla vita della maggior parte delle persone. Unirsi e imparare l’uno dall’altro e fare rete è importantissimo. Dopo 10 anni di lotta per mantenere questo luogo, penso che valga la pena lottare per mantenerlo. È uno spazio aperto, il che è davvero significativo? perché le persone possono venire liberamente senza annunciarsi, si può semplicemente venire e trovare il proprio posto, ma d’altra parte il fatto che sia così aperto crea anche molti problemi e molto lavoro. Tutto questo funziona grazie a chi contribuisce al progetto, attraverso le persone che vengono. E’ davvero importante che le persone vivano in questa zona autonoma per qualche tempo e la rendano vivibile.

Hambach è stata la prima foresta occupata, dopo però sono state occupate altre foreste, come ad esempio Tumbletown. Cosa pensi della diffusione di questa pratica?

È davvero bello vedere che queste tattiche funzionano, le occupazioni sugli alberi, non solo come forma di azione diretta, le persone cercano di creare più zone autonome, anche temporanee in altre foreste e cercano di vivere l’anarchismo insieme, lottando contro ciò che succede e proteggendo la foresta. C’erano e ci sono ancora connessioni tra le occupazioni delle foreste, le persone si visitano e si sostengono a vicenda. Durante questo periodo ci sono state molte occupazioni di foreste ma non tutte hanno avuto successo. Le persone però hanno imparato molte cose, sono cresciute e si sono spostate in altre occupazioni. A volte questa occupazione diventa un punto di ritrovo, abbiamo cercato di condividere conoscenze sull’ arrampicata, abbiamo organizzato eventi in modo che le persone potessero andare via da qui e ricreare questo tipo di lotta anche in altri luoghi, in modo che ci siano diversi scambi di conoscenze e per accrescere le strategie e le conoscenze pratiche.

Che tipo di solidarietà possono portare le persone a questa lotta, e cosa possono fare qui e da altre parti da cui provengono?

Penso che la cosa migliore sia lo scambio di conoscenze ed esperienze o la condivisione di come funzionano altri luoghi, cosa è andato bene e cosa no, come fare le cose, che tipo di problemi ci sono. In questo modo possiamo scoprire e conoscere altri modi diversi di fare le cose. Questo credo sia davvero importante! Anche conoscere altri progetti in altri Paesi, quali sono quelli simili, come sono collegati tra loro e come renderli pubblici. Tutti possono aiutare se c’è più rete.

Ultima domanda… cosa pensi in generale delle lotte ambientali? Che percezioni hai riguardo a queste? Come è cambiata in questi anni, sia dal punto di vista interno sia dal punto di vista del nemico?

Non sono molto positivx riguardo gli ultimi sviluppi che stanno avvenendo perché non vedo grandi cambiamenti in nulla e penso che il governo e le aziende stiano cercando di dipingere il tutto di verde ma continuando con il capitalismo, quindi non vedo grandi cambiamenti in atto.

1 Le diverse strutture costruite nella foresta sono suddivise in diverse zone, chiamate “Barrio”, ovvero quartiere.

 

BOLOGNA: MANIFESTAZIONE CONTRO LE OPERE INUTILI, IMPOSTE E DANNOSE

Diffondiamo:

Sabato 9 marzo, ore 14 – Piazza Maggiore

“Come è trattato l’ambiente a Bologna? Ce lo dicono le reti arancioni che stiamo vedendo dappertutto, ce lo mostrano le centinaia di alberi tagliati ai bordi della tangenziale, nei parchi e nelle strade. Nonostante il consumo di suolo in atto, nella regione Emilia Romagna si costruisce al ritmo di 2 mq al secondo.”

IL PARCO DON BOSCO NON SI TOCCA! GIÙ LE MANI DI SPECULATORI E PALAZZINARI DALLA CITTÀ!

CREMONA: GUERRA NEMICA MORTALE

Riceviamo e diffondiamo:

DA VENERDI 15 MARZO A VENERDI 12 APRILE MOSTRA ANTIMILITARISTA- c/o Spazio Autogestito Kavarna – Via Maffino Maffi 2/A, Cremona

VENERDÌ 15 MARZO

– Dalle 20 presentazione con apericena vegan dalle 20:00
– Dalle 21:30 Proiezione del cortometraggio “L’IDEA”

VENERDI 12 APRILE POMERIGGIO WORKSHOP INCISIONE LINOLEUM

L’incisione su linoleum é una pratica semplice dalla quale si può ottenere una stampa d’arte ad alta tiratura. Rende accessibile a tuttx il potere espressivo dell’arte e la diffusione delle proprie idee e suggestioni.

CREMONA: BENEFIT INGUAIATE CON LA LEGGE E RIFLESSIONI SUL LIBRO “DELL’INCOMPATIBILITÀ TRA NUCLEARE E VIOLENZA” [9 MARZO]

Riceviamo e diffondiamo:

BENEFIT INGUAIATE CON LA LEGGE
Continuando a imbrattare e danneggiare il potere

Dalle 20 cena benefit
Dalle 21  riflessioni sul libro “Dell’incompatibilità tra nucleare e violenza” di Günther Anders

Performance, Dj set e LIVE set

Allo spazio autogestito Kavarna, via Cascine Corte 11, Cremona.

NO FASCI, NO MACHI, NO SBIRRI

CREMONA: MISERIA E CARCASSE

Riceviamo e diffondiamo un volantino distribuito mercoledì 28 febbraio a davanti alla Prosus, una ditta in provincia di Cremona che è letteralmente un mattatoio.

I lavoratori delle cooperative che da anni lavoravano nello stabilimento hanno occupato l’azienda e montato le tende davanti ai cancelli per quattro mesi quando Prosus li ha licenziati per mettere la fabbrica sul mercato ad un prezzo più “vantaggioso”. Circa due settimane fa il presidio è stato sgomberato.

Fra sindacalismo, recupero delle possibili tensioni di rivolta, oppressione e macelli di maiali, industrialismo e tecnologia, alcune rompigonadi hanno voluto dire la loro riguardo la totalità della situazione ad un pubblico gremito per l’arrivo della celebrità di turno al presidio davanti ai cancelli.

Qui il volantino distribuito in pdf: Miseria e carcasse


Cogliamo l’occasione per condividere di seguito una riflessione:

Sabotare la macchina, mettere in discussione quel lavoro nocivo che ammazza e ci ammazza, rivendicare la nostra autodeterminazione fuori dal ricatto di un salario fatto per ghermire e ghermirci, solidarizzare tra oppressx, diventa sempre più necessario se vogliamo rovesciare quell’ordine capitalista e patriarcale che ci opprime.

La catena che siamo costrette ad ingrassare è la stessa che ci lega mani e piedi.

Le innovazioni tecnologiche capitaliste non ci hanno affatto liberatx dallo sfruttamento e dal lavoro, ma hanno permesso ai padroni un migliore e più efficiente sfruttamento sul lavoro.

Se è sul lavoro di milioni di persone che questo modello di sviluppo insensato si regge, è evidente che non si può trattare più solo di diritto “sul lavoro” ma di sabotare la macchina, sottrarsi alla morsa di quel lavoro, vorace e ingordo, che divora ecosistemi, territori e comunità, basato su pratiche crudeli e oppressive, che ingrassano alcuni e tengono alla corda altri.

Non c’è un’altra possibilità, abbiamo una vita e basta per riprenderci quanto ci serve e ribellarci alla macchina, abbiamo una vita e basta per rischiare di essere liberx!

 

MODENA: UN DESERTO CHIAMATO SICUREZZA

Siamo tuttx invitatx a questa chiacchiera sulla repressione che sta colpendo molti quartieri, sul razzismo istituzionale che esprime, sulla così detta “emergenza droga” e i vari allarmi lanciati in materia di “sicurezza”. Un’occasione per parlare del necessario legame tra le lotte anitproibizioniste e le lotte contro il carcere. 🔥🖤 Il 15 marzo al Ligera a Modena.

Più info qui: https://brughiere.noblogs.org/events/event/modena-un-deserto-chiamato-sicurezza/

“Città in cui il continuo rinforzarsi delle retoriche della legalità e del decoro si traduce negli abusi sempre più legittimati delle forze dell’ordine e nella violenza del carcere. Un tempo che rende sempre più evidente la necessità di sovvertire l’esistente e lottare.”

“ALLARME DROGA” ED “EMERGENZA SICUREZZA” ERRICO MALATESTA ANTIPROIBIZIONISTA [1923]

In un testo del 10 agosto del 1923 Errico Malatesta su Umanità Nova (numero 181), con disarmante semplicità, snocciolava i principi base dell’antiproibizionismo.

Si poneva il problema della cocaina.

In sintesi Malatesta constatava come il grido d’allarme di esperti e scienziati contro il pericolo della cocaina si traducesse nell’ottusa richiesta continua di nuove e più severe leggi, nonostante l’esperienza avesse sempre, invariabilmente dimostrato che mai nessuna legge, per barbara che fosse, è mai valsa a estinguere fenomeni problematici, che invece malgrado le leggi e forse proprio a causa delle leggi, si estendono.

Senza nessuna banalità, evidenziava quanto il punire severamente consumatori e venditori non avrebbe fatto altro che aumentare negli speculatori l’avidità del guadagno, che sarebbe cresciuta ancora con l’inasprimento delle leggi.

Di conseguenza affermava quanto fosse inutile sperare nella legge, e proponeva, nel 1923, un altro rimedio: dichiarare l’uso ed il commercio libero, aprire “spacci” dove la sostanza fosse venduta a prezzo di costo, e poi fare riduzione del rischio, informazione, nessuno avrebbe fatto propaganda contraria, scriveva, perché nessuno avrebbe potuto guadagnare e speculare sull’uso di sostanze.

E ancora molto lucidamente non si illudeva: con questo non sarebbe sparita la possibilità di un uso dannoso della sostanza, poiché le cause sociali che creano le dipendenze non sarebbero sparite, ma in ogni modo il male sarebbe diminuito, perché nessuno avrebbe potuto guadagnare sull’uso di droga, e nessuno avrebbe potuto speculare sulla caccia agli speculatori.

Così concludeva:

“La nostra proposta o non sarà presa in considerazione, o sarà trattata da chimerica e folle. Però la gente intelligente e disinteressata potrebbe dirsi: poiché le leggi penali si sono mostrate impotenti, non sarebbe bene, almeno a titolo di esperimento, provare il metodo anarchico?”

TRIESTE: LE CHECCHE SCHECCANO

Riceviamo e diffondiamo:

Martedì 27 febbraio, con i nostri corpi e le nostre voci abbiamo portato disordine a un evento al Caffè San Marco a Trieste, che dovrebbe essere tutt’altro che ordinario: la presentazione di due libri, scritti da Silvia Guerini e Costantino Ragusa, che riportano contenuti estremamente transfobici e complottisti sulla stessa esistenza delle persone trans e queer.

Nel libro “Dal corpo neutro al cyborg postumano. Riflessioni critiche all’ideologia gender”, Silvia Guerini, sedicente anarco-ecologista radicale, sostiene che le rivendicazioni transfemministe e LGBTQ+ non trattino dei diritti di una parte di popolazione repressa, ma facciano parte di un’agenda più ampia e potente (ah ah, magari) con al vertice le Big Tech e vari padroni globali.

Gli autori incolpano il capitalismo e lo stato della diffusione della cosidetta “teoria gender” e contestano con pratiche violente la medicalizzazione dei corpi, in particolare dei minorenni che decidono di intraprendere un percorso di affermazione di genere. A marzo 2023, presso l’azienda ospedaliero-universitaria Careggi di Firenze, queste stesse persone hanno organizzato un presidio per denunciare “le conseguenze irreversibili dei bloccanti della pubertà”: un tentativo violento di sovradeterminare le scelte e i percorsi individuali delle persone trans*, invalidandone l’esperienza. Secondo le loro narrazioni, i percorsi di affermazione di genere sarebbero troppo facilmente accessibili. Peccato che gli iter serratissimi, con liste d’attesa infinite, ambienti discriminatori e pratiche istituzionali violente, dobbiamo affrontarli noi e non loro. E che i corpi medicalizzati, psichiatrizzati e messi continuamente in discussione, siano i nostri e non i loro.

Questa visione del mondo è indicativa di quanto i soggetti che la diffondono siano funzionali alla riproduzione dello stato di marginalizzazione e sfruttamento che viviamo: narra un ribaltamento dei rapporti di potere che racconta una realtà in cui froc3 e trans* sono una sorta di classe obbediente e funzionale al capitalismo, che trae guadagno e giovamento dall’attuale organizzazione della società e da chi la governa. Tutto ciò è ridicolo: alla violenza e alla discriminazione che subiamo ogni giorno sui nostri corpi (come accaduto anche martedì!) si somma l’ulteriore marginalizzazione sul piano economico, sociale, sanitario e su ogni aspetto materiale delle nostre vite.

La serata del 27 è stata l’ennesima occasione in cui persone cis-etero hanno tentato di schiacciarci, dettando regole da applicare sui nostri corpi e sulle nostre esistenze, vittimizzandosi e sostenendo che la sofferenza, l’autodeterminazione e la libertà siano retoriche che usiamo per “trasformare i nostri capricci in diritti umani”.

Il potere che queste persone hanno di spingere all’odio e alla queerfobia, di influenzare il pensiero di menti non informate, è pericoloso e mette a rischio la nostra libertà. Troviamo inaccettabile che gli sia stato messo a disposizione un luogo in cui farlo: il Caffè San Marco, che paradossalmente tra i suoi “punti forti” su google indica l’essere queer-friendly, ha concesso a queste persone uno spazio all’interno di uno dei locali storici di Trieste per diffondere messaggi di discriminazione e disinformazione.

Le parole d’odio risuonano se ci sono appoggio e ascolto, ed è per questo che abbiamo deciso di portare disturbo con la nostra presenza, di esprimere la nostra rabbia, di contestare con la nostra stessa esistenza di persone trans* quanto sostenuto da Guerini, Ragusa e Boscarol. Le checche hanno scheccato, abbiamo interrotto questo triste spettacolo di falsa informazione e contenuti queerfobici portando la nostra esperienza, la nostra rabbia, urlando assieme che “l’uomo violento non è malato, ma figlio sano del patriarcato”, nel momento in cui Ragusa ha alzato le mani su più compagn3, dimostrando in azione l’atteggiamento violento e machista che queste persone hanno verso la nostra esistenza, dimostrando che la loro intenzione è di decidere sui nostri corpi, di negarne l’esistenza e la validità.

Siamo dissidenti, siamo indecoros3, le nostre voci non saranno silenziate, i nostri corpi non saranno schiacciati, le nostre esistenze non saranno minate.

QUEER RAGE

Per approfondire lasciamo i link ad articoli di compagnx:
https://infernourbano.altervista.org/sulla-deriva…/

Postscriptum al testo “Sulla deriva reazionaria di alcuni/e “compagni/e”…”

RESISTERE ALLA MACCHINA DELLE ESPULSIONI: SUI FATTI ALLA QUESTURA DI TORINO

Diffondiamo:

Non partiremo dalle botte, dal fatto che ci hanno strappato via un compagno, dal fatto che nei CPR torturano e che dai CPR deportano.

Non partiremo da questo perché non sarebbe il discorso di Jamal.
Pertanto non è e non sarà il nostro.

LE RIVOLTE

Un anno fa il CPR di corso Brunelleschi bruciavaBruciava e chiudeva grazie al fuoco dei ribelli. Quelle colonne di fumo che si stagliavano al cielo emanavano la forza di una rivolta, dando coraggio a chi, fuori, coglieva quel momento per immaginare una solidarietà che nelle sue possibilità riuscisse ad essere palpabile ed efficace. Che potesse superare quel tempo e quel luogo e rimanere solida nelle sue prospettive di lotta contro la detenzione amministrativa, la macchine delle espulsioni e il razzismo sistemico e sistematico.

LEGAMI E ALLEANZE

Jamal è un pezzo di questa storia, è il segno profondo che il rapporto tra un dentro e un fuori è stato auspicabile, possibile, reale. Che organizzarsi insieme è un orizzonte non solo desiderabile ma realizzabile.

In questo anno abbiamo provato a tessere i nessi di senso che legano la guerra esterna – che ha raggiunto il suo apice con il genocidio palestinese – insieme alla costruzione del nemico interno – inquadrato per lo più tra il sottoproletariato razzializzato e chi lotta. Abbiamo ribadito, sempre più convint*, che creare qui alleanze di lotta con chi subisce l’oppressione di classe e lungo la linea del colore è il nostro punto, il nostro orizzonte, la nostra strada.

TENTARE IL POSSIBILE

Jamal è un nostro compagno, un nostro amico. Ha fatto questa strada con noi e non potevamo che tentare il possibile: inceppare il suo trasferimento in un CPR, dove per 18 mesi può essere sottoposto a detenzione e violenza, può essere torturato, per poi, un giorno, arrivare alla deportazione.
Mentre sotto i nostri occhi si muovevano gli ingranaggi del razzismo di Stato, non potevamo permetterci di rimanere inermi.

La macchina delle deportazioni e della detenzione amministrativa si compone di tanti piccoli pezzi: dalle perizie medico legali delle ASL, alle imprese che costruiscono e/o gestiscono i centri di detenzione; dai rastrellamenti degli sbirri durante le retate, ai voli charter che realizzano le deportazioni.
Ognuno di questi tasselli è più vulnerabile di quanto non sembri nel suo insieme il moloch delle detenzione amministrativa.
La sorpresa e la difficoltà degli sbirri nel dover gestire lo slancio di solidarietà di fronte alla questura ne sono la conferma.

IL COPIONE DEI MEDIA

La copertura mediatica dell’accaduto ha seguito un copione decisamente rodato: una comunicazione dell’ufficio stampa della questura viene inoltrata e ripubblicata da agenzie di stampa e giornali senza la minima rielaborazione.
E così gli aggressori diventano aggrediti e i professionisti della violenza (coloro cioè che della violenza istituzionale fanno la propria professione) passano per vittime.
Spariscono i pugni in testa, le manganellate scomposte, le minacce, gli insulti. Nella narrazione univoca e standardizzata delle veline poliziesche, sparisce la radice stessa della violenza, quella dei meccanismi di potere e dei dispositivi di governance delle classi sfruttate, quotidianamente emarginate, discriminate, incarcerate, espulse. Unica vera notizia (nel senso di fatto degno di nota) in questo caso è stata la “necessità” da parte della polizia di dispiegare appieno questa violenza per portare uno “straniero” nel CPR di Milano, un posto – tra gli altri destinati alla detenzione – disumanizzante al punto da creare scandalo per la gestione delle persone recluse.
Se in questi giorni la brutalità della polizia è balzata agli onori delle cronache per alcuni casi di violenze perpetrate durante momenti di protesta, la storia di ieri può aggiungere allora un prezioso tassello alla comprensione dei meccanismi che regolano e reggono le iniquità sociali: i poliziotti non picchiano solo ai cortei, non colpiscono solo gli avversari di questo o quel governo. I poliziotti pestano tutti i giorni, per garantire a suon di botte che la società dello sfruttamento rimanga tale.

Sappiamo che su Jamal è caduta più potente la brutalità della repressione perché ha scelto di lottare, ha scelto di organizzarsi. Il colpo e i colpi di oggi però non sono niente in confronto alla rabbia che abbiamo nel cuore e all’amore che arde questa lotta e ci lega alle compagne e compagni che troviamo lungo la strada.

MANTENIAMO VIVA LA SOLIDARIETÁ!

PRESIDIO SOTTO LE MURA DEL CPR DI VIA CORELLI DI MILANO

10 MARZO 2024 ORE 15

Il fuoco dei CPR brilla ancora e il coraggio delle lotte e delle rivolte stenta a placarsi.

A Jamal e alla sua libertà
A chi si ribella e si rivolta.
Ai rivoluzionari e alle rivoluzionarie.

FUOCO ALLE GALERE
FUOCO AI CPR

NAPOLI: SORVEGLIANZA SPECIALE, SORVEGLIANZA SOCIALE

Riceviamo e diffondiamo:

Lo Stato ha individuato il nemico interno nelle frange dissidenti e nella parte più emarginata del tessuto sociale. Contro di esse viene dispiegato un apparato repressivo sempre più pervasivo, utilizzando decreti legge, pacchetti sicurezza e misure di prevenzione, con la finalità di una
carcerazione di massa.

Ne discuteremo assieme ad alcune avvocate.

Domenica 3 marzo  alle 18 a Santa Fede Liberata, in via S. Giovanni Maggiore Pignatelli 2, Napoli.

AL FIANCO DI ZAC, COMPAGNO ANARCHICO DETENUTO A TERNI IN AS2 E RAGGIUNTO DALLA MISURA DELLA SORVEGLIANZA SPECIALE