TERRORISTA É IL PATRIARCATO, TERRORISTA É LO STATO

Da Femministe Antimilitariste – Assemblea lotto3antimilitarista

Qualche settimana fa riinizia la giostra punitiva contro il movimento antimilitarista e contro l’occupazione militare: perquisizione a casa di una compagna con annesse denunce per una decina di persone, dove, accanto ad uno dei capi d’imputazione, trova spazio l’aggravante di finalità di terrorismo. Nel 2019 viene chiusa l’indagine dell’operazione Lince, operazione che vede 45 persone imputate, di cui 5 con l’accusa di 270bis (associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico). Non ci stupisce che le procure continuino a creare teoremi associativi, l’intento è chiaro: criminalizzare la lotta in quanto tale. Siamo qui per ribadire che terrorista è il patriarcato che ci vuole impaurite e terrorizzate, che ci fa camminare per strada con l’ansia, che ci uccide nelle nostre case, che ci vuole vittime.

Nel 2022 ammonta a 120 il numero di femminicidi lesbicidi trans*cidi nello stato italiano. Chi è che terrorizza?

Siamo qui per ribadire che terrorista è lo stato, che crea confini e frontiere, che ha bisogno della guerra, e per questo bombarda e devasta con le sue bombe la nostra terra e altrove le vite di migliaia di persone. Stato che ha tra le sue armi quella dello stupro, in tempo di pace e in tempo di guerra. Stato che si pone come detentore assoluto di violenza legittima, che riproduce gli schemi e il sistema patriarcale, impedendoci di abortire, criminalizzando l’autodifesa, mettendo poi alla sbarra le persone su cui viene perpetrata sistematicamente la violenza. Di fatto criminalizza l’autodeterminazione: sia quella di fare col proprio corpo quello che si vuole o di lottare per una vita migliore, di difendere i territori che abitiamo.

Siamo qui per rimandare le accuse al mittente, non facciamoci intimorire dalle procure: solidali e complici con l3 compagn3 colpit3 dalla repressione, SA LOTA SIGHIT

TORINO: PRESIDIO AL CARCERE – CECCA LIBERA!

Da notav.info

CECCA CONDANNATA AL CARCERE PER AVER APPESO UNO STRISCIONE DI SOLIDARIETÀ.

Luglio 2013. Manifestazione notturna al cantiere Tav di Chiomonte. Marta, compagna pisana, viene fermata dalla polizia dopo una violenta carica. Pestata, insultata e molestata sessualmente dalle forze dell’ordine, viene pure denunciata. Durante il primo interrogatorio di Marta, tenuto dagli ormai celebri pm con l’elemento Padalino e Rinaudo, il movimento No Tav organizza un presidio per non lasciare Marta da sola ad affrontare quel difficile momento. Un gruppo di compagne, donne, amiche decide di portare uno striscione che, oltre a solidarizzare con Marta, denuncia le violenze della polizia. “Se toccano una toccano tutte”. Un gesto di solidarietà femminista, contro la violenza maschile in divisa nei confronti di una compagna. Non fanno in tempo ad aprirlo per appenderlo fuori dal tribunale che la polizia carica, manganella e poi denuncia. In un processo farsa in cui le molestie subite da Marta vengono completamente rimosse così come le ragioni del presidio, le compagne vengono accusate di ogni sorta di reato. La Pm punta il dito sul “clima festoso” del presidio a indicare la pretestuosità della presenza del movimento. Per la Pm le donne presenti avrebbero dovuto vestirsi a lutto e piangere tutte le loro lacrime per dimostrare il loro dolore per la vittima? Una reazione determinata da parte di quelle donne è un fatto così inaccettabile e incomprensibile? Ancora, la Pm insiste con una testimone sul fatto che, non avendo subito lei stessa violenze sessuali, non avrebbe potuto capire e quindi solidarizzare con una donna che invece quelle violenze dice di averle subite. Queste sono solo alcune delle perle che si sono sentite durante il processo.

Dieci anni dopo quell’estate. Veniamo a conoscenza della decisione del Tribunale di Sorveglianza di Torino: la giudice Elena Bonu decide di fare scontare la pena in carcere. Purtroppo, per chi non ha la memoria corta, questa giudice la dobbiamo ricordare per essere la stessa ad aver scelto il carcere per Dana. Nonostante il parere positivo della stessa Procura Generale di fronte alla richiesta di applicazione delle misure alternative al carcere il Tribunale di Sorveglianza decide, ancora una volta, di punire chi lotta.

Ci chiediamo poche cose, perché le risposte già le abbiamo. La semplicità con cui la loro giustizia possa giocare con la vita delle persone, con chi fa parte del movimento No Tav, con chi lotta e con chi non ha posto in questo mondo è agghiacciante. Il fatto che possa farlo indisturbata, perché accettato in tutto e per tutto dall’apparato politico, istituzionale e giuridico è vergognoso. Da parte del Tribunale, della Procura e della Questura di Torino viviamo un attacco senza precedenti e probabilmente senza eguali in questo Paese ma, come sempre, resisteremo un metro, un minuto più di loro. Perché sappiamo di avere ragione.

Cecca siamo e saremo sempre al tuo fianco!


SABATO 11 FEBBRAIO ORE 15.30

PRESIDIO AL CARCERE (Ingresso principale, Via Maria Adelaide Aglietta 35)

Sabato saremo davanti al carcere di Torino perché questa ennesima ingiustizia non passi sotto silenzio, vogliamo Cecca libera subito. Lo diremo a gran voce perché il tuo posto è qui fuori, nelle lotte collettive.
Il dito lo puntiamo noi!

Siamo e saremo sempre al tuo fianco!

Cecca libera!

Libertà per tutte/i le/i No Tav!


PER SCRIVERE A CECCA:

FRANCESCA LUCCHETTO
c/o Casa Circondariale Lorusso e Cutugno
Via Aglietta, 35
10151 – Torino

BOLOGNA: BICICLETTATA ANTICARCERARIA

VENERDÌ 10 FEBBRAIO 2023

Ore 15:00 Ritrovo alla scalinata di Piazza VIII Agosto
Ore 17:30 Arrivo e presidio davanti al carcere della Dozza

Da più di 100 giorni Alfredo Cospito è in sciopero della fame. La sua è una battaglia contro la tortura del 41bis e dell’ ergastolo ostativo, ma ancor più è la battaglia di chiunque non vuole rimanere inerme di fronte alla violenza che le galere, i tribunali, l’ingiusta “giustizia” di questo sistema quotidianamente riversa su migliaia di persone.

Comunque andrà a finire Alfredo non lotterà da solo. Liberx tuttx

BOLOGNA: PERQUISIZIONI, SEQUESTRI E MISURE CAUTELARI

Stamattina alcunx compagnx del CUA sono stati raggiunti da 12 misure cautelari (10 obblighi di firma e 2 divieti di dimora) per un corteo e un’occupazione di qualche mese fa. Le accuse sono molteplici e pesanti. Durante l’operazione sono state perquisite le case di compagnx ed inoltre sono stati posti sotto sequestro due spazi universitari occupati e autogestiti dal CUA: l’auletta al 38 di Via Zamboni e SPLIT – Spazio per liberare il tempo. Ancora una volta lo Stato attacca con l’obbiettivo di scoraggiare, dividere e isolare chiunque intenda sfidare l’attendismo dilagante e lottare. Ad essere sotto attacco infatti non è solo qualche compagnx, ma tuttx noi. In un momento in cui è sempre più chiaro a molte la necessità di mobilitarsi e agire sul presente, le maglie della legge e della repressione si stringono con l’obiettivo di tenerci isolate: a questa ennesima ed infame operazione repressiva rispondiamo esprimendo la nostra piena complicità e solidarietà.

CHE NELLA MENTE (NON) RIMANGANO SOLO MURI.

Pubblichiamo un contiributo di Prison Break Project (del 12/01/23):

Acciocché l’occhio incontri solo muri”. “Che l’occhio incontri solo muri”. “Che nella mente rimangano solo muri”.

Sono tre passaggi tratti dal bellissimo fumetto di Zerocalcare, “La voragine”, pubblicato per il giornale “L’Essenziale”, in cui viene ripetuto, come un mantra, in cosa consiste l’essenza, la funzione recondita, del regime detentivo del 41 bis.

Tre volte, si diceva. Ogni passaggio scandisce una particolare caratteristica del regime detentivo di cui sopra. Il blindo della cella sempre abbassato, con lo spioncino che dà sul muro del corridoio davanti ad essa, in modo tale che non si riescano mai a vedere le altre celle. L’ora d’aria giornaliera (l’unica) da trascorrere in un minuscolo cortile, fra muri altissimi e con una rete metallica ad impedire di scorgere il cielo. Ed infine le molte prescrizioni da rispettare all’interno della cella, dal divieto di ricevere libri e riviste dall’esterno, alla censura della posta, all’asetticità totale dello spazio, fino al divieto di appendere fotografie alle pareti (se non una, a volte, quando autorizzata). “Che nella mente rimangano solo muri”, appunto.

La fase finale di un processo di annientamento il quale risulta essere la finalità vera della misura restrittiva in questione.

In questi giorni il 41 bis viene tirato in ballo molto più frequentemente del solito. La motivazione è una sola. Il 4 maggio 2022 Alfredo Cospito, anarchico già condannato a 10 anni di reclusione per il ferimento dell’amministratore delegato di Ansaldo nucleare, condanna interamente scontata, sotto processo per “strage contro la sicurezza dello stato” a causa di un ordigno rudimentale esploso nel 2006 davanti alla scuola dei carabinieri di Fossano, ordigno che gli stessi inquirenti hanno definito “a basso potenziale”, che ha fatto esclusivamente danni materiali non particolarmente rilevanti (la pena prevista dal 285 c.p. è l’ergastolo), viene mandato alla sezione del cosiddetto “carcere duro” del penitenziario di Bancali, a Sassari, per decisione dell’allora ministra della giustizia Marta Cartabia. È il primo anarchico ad essere recluso in un regime carcerario del genere.

Il 20 ottobre scorso Alfredo ha iniziato uno sciopero della fame ad oltranza contro le misure a cui è sottoposto, condotta che perdura ancora adesso e che è deciso a portare fino in fondo. Sono ormai quasi tre mesi, con tutte le conseguenze, tremende, per il suo fisico. La sua determinazione, assieme all’opera indefessa del suo legale Flavio Rossi Albertini, alle azioni di compagni e compagne, anarchiche ma non solo, dell’inizialmente ristretto gruppo di attivisti anticarcerari e al documento diffuso dal pugno di avvocati che denunciavano il clima di caccia alle streghe contro il movimento anarchico, tutto ciò è riuscito a “sollevare il velo di Maya”, a bucare la coltre di indifferenza che da sempre ricopre la condizione carceraria.

Ora il “caso Cospito” è sui giornali, anche nazionali e se ne parla su siti, in radio e in Tv. Un appello sottofirmato da 38 personalità di varia estrazione, che ha raccolto migliaia di adesioni, chiede al ministro della giustizia e al dipartimento penitenziario di tornare sui propri passi e fare di tutto perchè il provvedimento restrittivo venga revocato, nonostante l’ultima parola ora spetti alla Cassazione, visto che il tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto il ricorso contro la misura, e dunque il sistema repressivo abbia confermato la necessità di una punizione la più severa possibile nei suoi confronti. Le molte azioni di compagne e compagni, come occupazioni temporanee di spazi pubblici, presidi, manifestazioni, dirette radio dal carcere di Bancali, hanno rilanciato la questione di Alfredo. Tutto ciò ha avuto il merito di imporre al dibattito pubblico la messa in discussione della misura del 41 bis in sé e l’annientamento che comporta in chi vi è assoggettato.

A nostro avviso è necessario allargare un po’ gli orizzonti per considerare la situazione in cui siamo con le varie sfaccettature. Alfredo e Anna non sono gli unici due anarchici condannati duramente per alcune azioni dalle conseguenze tutto sommato contenute. C’è il caso di Juan, anche lui anarchico, condannato a 28 anni in primo grado, accusato di aver piazzato una “pentola esplosiva” davanti alla sede della lega di Villorba, ordigno che, una volta deflagrato, nelle ore notturne, ha fatto solo danni materiali. Attentato per finalità terroristiche, recita l’accusa, l’articolo 280 c.p, reato che prevede, al primo comma, una pena che può arrivare fino ai 30 anni di reclusione.

Il clima di recrudescenza della repressione penale riguarda ormai molti ambiti dell’azione politica. È solo il caso di citare l’instancabile opera della procura torinese, tra un’associazione sovversiva a carico dei militanti dell’Asilo occupato, l’associazione a delinquere contestata al centro sociale Askatasuna, le centinaia di persone messe sotto processo in Valsusa, le misure cautelari emesse nei confronti di attivisti che protestavano contro l’alternanza scuola – lavoro e contro la morte di un loro coetaneo. Si evidenzia inoltre la richiesta della questura di Pavia di sottoporre il militante di Ultima Generazione Simone Ficicchia a sorveglianza speciale a motivo delle azioni volte a far emergere la questione climatica e ambientale.

Come si è arrivati a questo punto? È utile considerare il ciclo repressivo che ormai da diversi anni coinvolge la penisola in un crescendo inesorabile, fra frenate e risalite. Fra gli altri noi del collettivo Prison break project abbiamo ravvisato, nel nostro tentativo di analisi, l’instaurarsi di una forma di diritto penale del nemico contro gli avversari politici e sociali, almeno a partire da Genova 2001, così da riuscire a leggere in modo unitario l’innalzamento generale dell’entità delle pene inflitte. La sconfitta del movimento no global e la scia di punizione poliziesca e di decenni di galera addossati ai 10 “capri espiatori” del blocco nero (Vincenzo Vecchi è in attesa dell’estradizione dalla Francia) ha avuto come ripercussione la legittimazione all’utilizzo reiterato di strumenti repressivi che molti pensavano relegati agli anni bui del regime e agli anni 70, nonché l’emanazione di nuovi.

L’estrema plasticità e duttilità dei dispositivi punitivi a disposizione ha reso possibile l’adattamento dell’armamentario inizialmente destinato al contrasto di un determinato fenomeno “criminale” ad un contesto completamente differente. È successo con le “misure di prevenzione” come il foglio di via e la sorveglianza speciale, concepite per contenere, anzi per prevenire, soggetti criminali e poi trasferite decisamente nell’ambito della repressione del dissenso politico; è successo con il reato di devastazione e saccheggio, utilizzato senza soluzione di continuità, a partire dagli anni 2000, contro i manifestanti, poi contro gli ultras, poi di nuovo contro i manifestanti ed infine contro i carcerati in rivolta; è successo con i daspo, provvedimenti ideati ad hoc per colpire gli appartenenti alle tifoserie più “riottose” e trasmigrati in contesto sociale e cittadino; con i reati associativi politici, che fino agli anni settanta e ottanta venivano usati contro formazioni politiche ben strutturate organizzativamente e al giorno d’oggi invece sempre più volti a contrastare gruppi anarchici o libertari che si contraddistinguono per la leggerezza o addirittura la mancanza totale di una struttura “classica”, finendo così per reprimere direttamente l’adesione ad un’idea politica; si sta cercando di impiegare lo schema dell’associazione a delinquere “semplice” per punire sempre più centri sociali, sindacati di base, occupanti di case e così via.

La traiettoria politica che ha portato Alfredo Cospito al 41 bis non è così diversa. La particolare agibilità di una misura carceraria così gravosa, guadagnata in trent’anni di applicazione ed espansione costante (si è passati dalle iniziali 200 e rotti alle attuali 750 persone che vi sono ristrette) ne ha legittimato l’estensione ad altre soggettività: dalla repressione della criminalità organizzata alle nuove Br, ai fenomeni “terroristici” (con tutta la problematica relativa alla definizione stessa del “terrorismo”) al primo militante anarchico.

Genova 2001 ha avuto ricadute su una serie di procedimenti che nulla avevano a che fare con il movimento no global e le sue diverse componenti. Anche la portata politica della vicenda di Alfredo va oltre il caso specifico. La concreta minaccia di una condanna definitiva all’ergastolo ostativo e ad alla pena di morte viva del 41 bis nei suoi confronti rappresenta il culmine raggiunto dal ciclo repressivo del dissenso politico attuale. La generosità ed il coraggio di aver messo il proprio corpo e la propria vita a repentaglio in questa lotta ha avuto la conseguenza di evidenziare le contraddizioni e le smagliature del sistema repressivo ma anche di dare ossigeno e spazio al dibattito antirepressivo e anticarcerario.

Vogliamo che Alfredo Cospito viva e venga al più presto trasferito dal regime di tortura del 41 bis.

Vogliamo che venga scongiurata la possibilità di una condanna all’ergastolo per lui e per Anna Beniamino.

Vogliamo che il 41 bis venga abolito perché totalmente incompatibile con la vita umana.

Vogliamo che l’ergastolo ostativo scompaia dall’ordinamento.

Vogliamo che si avvii un processo che porti alla sconfitta della concezione giustizialista imperante, che vede nel carcere la stella polare.

Vogliamo che la repressione smetta di essere l’orizzonte unico di ogni soggetto sociale e politico che si attiva.

Che nella mente crollino i muri che ci rinchiudono.

Prison Break Project

MESSINA: PER NON MORIRE DI PENA – INCONTRO E DIBATTITO

martedì 7 febbraio, h 16.00, aula magna del dipartimento cospecs

INCONTRO E DIBATTITO

*Introduzione – P. Saitta

*L’incostituzionalità riluttante dell’ergastolo ostativo – L. Risicato

*La sottile linea tra detenzione e tortura – G. Colavecchio

*Dal diritto penale del ‘fatto’ al diritto penale del ‘nemico’: la denuncia degli avvocati sull’erosione delle garanzie processuali – C. Picciotto

*Dall’antimafia all’antiterrorismo e oltre: piccola cronologia del carcere duro e dei provvedimenti speciali; Aggiornamenti sul caso Cospito e sul movimento contro 41bis ed ergastolo ostativo – Attivisti sociali

TORINO: SULLE PERQUISIZIONI ALL’ASKATASUNA

Diffondiamo: LA NOSTRA BANDA SUONA ANCORA IL ROCK: note sulla perquisizione di questa mattina.

Ieri mattina ha avuto luogo una perquisizione al Centro Sociale Askatasuna. Un’operazione che riguarda i fatti del 15 Ottobre 2022 quando nel controviale davanti al centro sociale si è tenuto un concertone che ha visto la partecipazione di migliaia di persone e decine di artisti della città in difesa dello spazio sociale. Decine di camionette e uomini in antisommossa della polizia e della guardia di finanza hanno bloccato l’ingresso di Askatasuna impedendo il passaggio anche alle lavoratrici ed ai genitori della vicina scuola.

La perquisizione, durata diverse ore, ha portato al sequestro degli impianti musicali di tutto ciò che è materiale elettronico e all’applicazione dei sigilli sui frighi del bar dello spazio e degli ambienti deputati alla conservazione della strumentazione musicale. Tra le altre cose è stata anche sequestrata l’agenda che raccoglie i tesserati e le tesserate della campagna “Associazione a Resistere” in solidarietà al Movimento No Tav e al Centro Sociale Askatasuna accusati di associazione a delinquere. Il tutto accompagnato da diverse denunce, da quanto riportato dai giornali 36 delle quali non abbiamo ancora totale contezza, ma tra queste alcune già notificate alquanto creative e folkloristiche come cattiva conservazione degli alimenti e frode in commercio oltre a occupazione e invasione di terreni ed edifici.
Questa operazione si inserisce a pieno titolo all’interno del processo di criminalizzazione delle forme di espressione giovanile e dell’autorganizzazione. Infatti, il tentativo che viene messo in opera è quello di equiparare uno spazio sociale ad un locale commerciale che fa profitto per proprio conto. La differenza è lampante a chiunque abbia frequentato uno dei nostri eventi o delle nostre iniziative sa bene quanto sia prezioso avere la possibilità di far vivere momenti di socialità, culturali e di incontro al di fuori delle logiche del profitto. Evidentemente in questa fase la tendenza governativa è quella di chiudere gli spazi di dissenso e di autogestione, impedendo in particolare ai giovani di incontrarsi e costruire modi diversi per stare insieme. Questo procedimento si inserisce in questo quadro seppur non si tratti della diretta conseguenza del nuovo decreto anti rave, anzi dimostra come gli strumenti per silenziare queste esperienze esistevano già ben prima di oggi.
Per quanto ci riguarda inoltre possiamo tranquillamente dichiarare che l’accanimento questurino nei confronti dell’Askatasuna assume un peso ben differente. Proprio ieri si è tenuta infatti la quarta udienza per il processo di associazione a delinquere che vuole colpire l’Askatasuna, il Movimento No Tav e lo Spazio Popolare Neruda. Il centro sociale è infatti al centro dell’inchiesta che vorrebbe identificarlo come una delle basi in cui opererebbe una fantomatica associazione di delinquenti che organizza queste iniziative per autofinanziare le sue attività criminali. Il tutto scricchiola e fa acqua da tutte le parti infatti siamo ancora in attesa di vedere queste prove schiaccianti.. E così proprio ieri è stato firmato da Enzo Bucarelli il mandato di perquisizione del centro sociale che puzza di provocazione e vendetta.
Ricordiamo che uno degli obiettivi dell’inchiesta per associazione, prima sovversiva e poi derubricata a delinquere (e anche qua ce ne sarebbe da dire), era ed evidentemente è ancora lo sgombero dello spazio. Nonostante numerose interpellanze in consiglio comunale da parte di Fratelli d’Italia per procedere allo sgombero rimaste disattese, la Questura di Torino ha pensato bene di far entrare dalla finestra ciò che non è riuscita a fare entrare dalla porta. Se non è uno sgombero allora sigilliamo tutto ciò che permette allo spazio di comunicare con l’esterno, autorganizzarsi con le persone che da decenni lo attraversano per poter fare esperienza di una socialità diversa, senza profitto, autentica.
Lo diciamo chiaramente: la gravità di questa situazione è palese seppur si sfiori il ridicolo nel vedere decine e decine di uomini ancora una volta a sperperare soldi pubblici per sequestrare impianti audio e frigoriferi. Parliamo di solidarietà da sempre e anche questa sarà occasione per esprimerla e costruirla insieme.
Non finisce qui, la nostra banda suona il rock!

FIRENZE: TONIO LIBERO, TUTTX LIBERX

Diffondiamo:

Ieri mattina hanno arrestato un nostro compagno, Tonio, mentre usciva da Corsica. Gli inquirenti parlano di sei attacchi alla linea dell’alta velocità tra Firenze e Bologna. Non sappiamo chi abbia compiuto questi attacchi, ma non fatichiamo a immaginare quali siano le motivazioni che potrebbero aver spinto qualcuno ad agire. Chiunque abiti o conosca il Mugello sa di cosa parliamo. In realtà basta fare una ricerca di due minuti su internet per capire cosa rappresenta il Tav per il Mugello. I giornali evocano la strategia della tensione, confidando nella scarsa memoria di questo paese. Come se l’odio dello stato e dei fascisti verso il movimento di allora e il disprezzo che mostrarono per la vita umana possano essere associati all’amore per un territorio e per quella vita che proprio il Tav ha distrutto e continua a distruggere. Era il 2012, dopo solo tre anni dal primo treno partito, e già erano stati calcolati 57 km di corsi d’acqua persi. 57. kilometri. Una tragedia annunciata sin dal progetto iniziale. Un ecosistema distrutto anche secondo la stessa magistratura che oggi accusa Tonio, che condannò ben 19 tra dirigenti e direttori dei lavori per quello che era un disastro troppo evidente per essere insabbiato. Ad essere insabbiate furono invece proprio le stesse condanne, annullate con un colpo di spugna finale dalla cassazione. Ma non è per ignoranza che si associano queste azioni alla strategia della tensione. Come si trasforma il danneggiamento di un quadro elettrico in una punizione esemplare? Aspetta, com’era la risposta? Ah già.. il terrorismo! Il punto della questione è sempre più evidente: quando si parla di pene non è importante cosa hai fatto, è importante chi sei, quali sono le tue idee e quanto si teme che possano diffondersi. In questi giorni Alfredo Cospito sta morendo pur di non sottostare al regime di tortura del 41 bis. Regime che gli è stato inflitto per una “strage” che non poteva ferire nessuno e non ha inftti ferito nessuno a parte il cantiere di una scuola carabinieri. Sempre questa settimana ad altri tre compagni di Corsica sono stati notificati altrettanti avviamenti di indagini per associazione sovversiva con finalità di terrorismo per aver partecipato ad un imbrattamento al comando militare della Sardegna in cui una torcia è stata lanciata su della vernice prendendo inavvertitamente fuoco. Totale dei danni dell’azione: tre nanosecondi di fiamme accidentali e una macchia nera su una parete. Questa è la realtà in cui ci troviamo ad agire: la cosiddetta giustizia distorce come sempre se stessa quando si tratta di colpire chi lotta. A Tonio va tutta la nostra solidarietà. Tonio libero. Tutti liberi.

Per scrivergli e mostrargli affetto (consigliamo con telegramma e posta 1)
Antonio Recati
Carcere circondariale di sollicciano
Via Minervini 2r,
50142, Firenze


Ieri sera (26 gennaio) un nutrito gruppo di compagnx e solidali si è riunito sotto al carcere di Sollicciano per portare il proprio affetto e solidarietà a Tonio e alle persone detenute. Odiamo il carcere e la società che ne ha bisogno. Liberx tuttx!